«Io mi chiedo e vi chiedo: noi palestinesi siamo come tutti gli altri o siamo meno umani degli altri?
La brutalità con la quale Israele tratta i prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane è difficile da credere: ci sono ad oggi 11mila prigionieri, inclusi 300 bambini e su di essi è stata ‘normalizzata’ la tortura».
Sahar Francis, giurista residente a Ramallah, e avvocatessa che difende molti dei palestinesi (3mila dei quali senza giusto processo) incarcerati da Israele, mostra le foto degli abusi sui prigionieri.
Sono immagini di uomini, e anche di ragazzini, come quella di Iyad Ashraf Dais, 15 anni, oggi agli arresti domiciliari, di grande sofferenza e abuso.
«Alcuni di loro sono morti addirittura per le conseguenze della scabbia – denuncia Francis – senza nessuna assistenza sanitaria, perchè le infezioni non vengono curate in carcere».
Sahar Francis fa parte della delegazione cristiana di Kairos Palestine, giunta nelle principali città italiane per denunciare le violazioni dell’occupazione militare israeliana in tutta la Palestina, ed è intervenuta venerdì scorso all’università di Bologna.
Con lei, accompagnati da don Nandino Capovilla di Pax Christi, il pastore luterano Munther Isaac, decano del Bethlehem Bible College e Rifat Kassis, coordinatore della coalizione Global Kairos for Justice (che però per motivi di salute non ha partecipato alla conferenza di Bologna).
«Nella maggior parte dei casi si tratta di detenzione arbitraria – denuncia Francis – : chiunque può essere arrestato nei Territori Palestinesi Occupati e una volta in carcere, i prigionieri, anche i minori, vengono trattati senza alcun riguardo per i diritti umani.
In prigione si può morire perfino di malnutrizione».
E i detenuti giacciono lì anche per anni, senza processo e senza assistenza.
L’attenzione del mondo intero sul dramma palestinese sembra essersi già eclissata, ma i delegati di Kairos Palestine ammoniscono che «non è tutto finito con il cessate-il-fuoco di Gaza!».
La guerra continua in Cisgiordania, soprattutto nelle città sotto assedio, come Jenin e Tulkarem, prese di mira durante continue retate da parte dell’esercito israeliano.
«Smettetela di parlare di conflitto israelo-palestinese non c’è conflitto tra due Stati – ha ammonito il reverendo Munther Isaac – C’è un colonialismo di insediamento da anni: dobbiamo parlare di occupazione e di colonialismo.
Ci vogliono sanzioni serie contro Israele e il boicottaggio economico è uno di questi strumenti.
Ma ci vuole anche coraggio, e in Europa questo ha un costo. La solidarietà costa».
Il reverendo luterano, durante l’incontro serale della delegazione nel monastero domenicano di Bologna, ha spiegato che «costruire la pace non significa neutralità e non significa voltarsi dall’altra parte!».
«Se vogliamo davvero essere dei costruttori di pace dobbiamo stare accanto agli oppressi e dire la verità. I costruttori di pace devono usare anche le parole giuste: se è apartheid chiamiamolo apartheid, se è genocidio chiamiamolo col suo nome.
Perché siamo timidi su questo?».
Alle domande relative alla posizione della Chiesa e a quanto il gruppo cristiano di Kairos Palestine si sia sentito sostenuto in questi anni, Munther Isaac ha detto:
«Questo è un momento molto critico per l’umanità e per la cristianità tutta: oltre 47mila morti palestinesi sono una tragedia inenarrabile.
Ma la Chiesa, in generale preferisce la neutralità: Gesù Cristo però non fu mai diplomatico.
Non abbiamo credibilità, come Chiesa, se protestiamo per la persecuzione nei confronti dei cristiani e non di tutti gli altri».
«Quello che conta è il no – ha ribadito anche don Nandino Capovilla – : domani forse può essere troppo tardi.
Vi chiedo solo di rileggere il documento Kairos Palestina, che è del 2009. Ve ne leggo due estratti: uno di Natale 2009 e l’altro di Natale 2024:
“da dentro la sofferenza del nostro Paese, sotto occupazione israeliana con un grido di speranza, in assenza di ogni speranza, ci rivolgiamo a voi:
la nostra parola cristiana nel bel mezzo della nostra catastrofe è una parola di fede, speranza, e amore”.
Natale 2024:
“di fronte al genocidio, alla spoliazione e alla pulizia etnica, diciamo una parola di cordoglio, perseveranza e speranza per il nostro popolo a Gaza e in tutta la Palestina”».