India: condizioni persino peggiorate per i già poverissimi

Il Subcontinente sta toccando record demografici ed economici

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E’ la più grande democrazia del globo, malgrado le disuguaglianze sociali e la politica ultranazionalista della destra indù. Sotto il governo di Narendra Modi sta toccando record demografici ed economici.

La crescita del Pil oltre il 6% e il superamento di un miliardo e 400 milioni di abitanti hanno permesso all’India di raggiungere negli ultimi mesi due record planetari.

Ma dove sta andando veramente l’India, ormai più popolosa della Cina?

Dalla capitale New Delhi, il professore di economia ed esperto di disuguaglianze, Himanshu, risponde netto: «La crescita demografica e del Pil devono essere analizzati sapendo che gli indiani sono in gran parte poveri e che le loro condizioni di vita sono addirittura peggiorate nell’ultimo decennio».

È quasi estate, primo pomeriggio, dall’altra parte del telefono. Un cinguettio tanto melodioso quanto imponente si unisce alla nostra conversazione.

Sembra ricordarci che nell’immensa federazione, composta da 28 Stati, e persino nelle sue megalopoli, uomo e natura sono chiamati alla migliore delle convivenze in epoca di crisi climatica, uno degli argomenti che affronteremo poco dopo.

Il professore della Jawaharlal Nehru University ricorda che a partire dal 1991 le politiche economiche di liberalizzazione, privatizzazione e globalizzazione, «non hanno aiutato i poveri, ma favorito soprattutto le corporation, le grandi forze del mercato indiane e straniere concentrate sui profitti privati».

Secondo Himanshu, tutti i governi avrebbero dovuto supportare l’agricoltura che impiega ancora il maggior numero di individui e fornire incentivi alle piccole e medie imprese per creare nuovi posti di lavoro.

Si sarebbe dovuto investire in sanità e istruzione primaria, perché «abbiamo bisogno di più medici, infermieri, insegnanti» ma anche nel settore manifatturiero.

I problemi dell’India sono sistemici, ricorda Diego Maiorano che insegna Storia contemporanea dell’India all’Università di Napoli l’Orientale.

Da decenni o addirittura dall’indipendenza dai britannici non si affrontano questioni fondamentali per lo sviluppo.

Si rischia di restare impantanati in «isole di California in un mare di Africa Subsahariana» dice il docente citando il premio Nobel per l’economia Amartya Sen.

Maiorano spiega: «Il Pil cresce, ma permangono due problemi. Il primo riguarda la crescita che si concentra al vertice della scala socioeconomica e quindi ‘non sgocciola’ – come dicevano i neoliberisti – sugli strati più indigenti della popolazione.

Il secondo, legato al primo, è la disoccupazione: l’economia indiana non riesce a creare posti di lavoro.

Grazie alla crescita in valore assoluto l’India può per esempio comprare armamenti, ma resta per PIL pro capite uno dei Paesi più poveri al mondo».

Un’altra enorme questione falsa i dati e la percezione dell’India.

Il Pil è calcolato sull’economia formale, quella regolamentata che occupa circa il 10% della forza lavoro, ma del restante 90% di economia informale, precaria, a paga giornaliera, senza diritti e tutele, non sappiamo quasi nulla. Aggiunge l’esperto dell’Orientale di Napoli:

«Non esistono contratti, garanzie, sistemi di rendicontazione e di lanci delle micro e macro imprese.

A beneficiare maggiormente della crescita sono – oltre all’1% di ricchissimi – persone di madrelingua inglese, di casta alta, benestanti che abitano nelle grandi città come Delhi, Mumbai, Bangalore, Hyderabad, Chennai, e lavorano in settori formali come quello informatico, bancario, assicurativo, della pubblica amministrazione, delle compagnie aeree e delle grandi aziende private».

Eppure nel Paese più popoloso al mondo milioni di giovani stanno per entrare nel mercato del lavoro…

 (Questo articolo per intero è stato pubblicato sul numero di luglio-agosto di Popoli e Missione, per richiederne una copia scrivere a popoliemissione@missioitalia.it).