Con un’inflazione del 40% e la metà della popolazione che vive in povertà, in Iran le proteste non si sono lasciate attendere.
A soffiare sul fuoco sono l’aumento del prezzo del pane (del 300%), dovuto anche alla crisi ucraina, e un drammatico incidente verificatosi lo scorso 23 maggio, attribuito – dai manifestanti in piazza – alla corruzione generale e alla negligenza del governo.
L’episodio è accaduto ad Abadan, nel Sud ovest del Paese, dove è crollato il Metropol, edificio residenziale e commerciale di dieci piani, provocando 34 vittime e altrettanti feriti.
Secondo l’Iran International, per la popolazione la tragedia «è diventata il simbolo della corruzione, dato che è risultato chiaro che ci sono state violazioni delle norme».
Dalle ricostruzioni, l’edificio poteva sostenere sei piani, ma altri quattro sono stati aggiunti durante i lavori.
Le proteste di piazza si sono estese a macchia d’olio in molte località del Paese: per le strade sono scese diverse categorie come quella degli insegnanti e degli autisti di autobus, che già da mesi reclamavano stipendi più alti.
Da parte governativa, la risposta è stata quella di «recapitare alla popolazione il messaggio di non superare le linee rosse, con il ricorso alla solita combinazione di intimidazioni, uso della forza e blocco di internet.
A fare le spese della repressione – si legge sul settimanale Internazionale – è stata in particolare l’industria cinematografica iraniana» che ha rapporti tesi con il governo degli ayatollah: secondo il New York Times, quest’ultimo «si prende il merito per i suoi successi all’estero (della cinematografia iraniana, ndr) ma cercando di controllare il suo messaggio e il suo raggio d’azione».