In Turchia una società civile sempre più sofferente e sotto attacco

Donne, giovani universitari, intellettuali, artisti, attivisti e religiosi sono nella morsa di Erdogan

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La società civile turca è sempre più sofferente e messa nell’angolo. Donne, giovani studenti, artisti, intellettuali, attivisti e tutte le forze più libere e democratiche del Paese (compresi i religiosi cristiani più critici) subiscono da anni la stretta liberticida di Erdogan.

La società truca resiste, nonostante tutto. La stampa internazionale (e quella turca che ancora non ha subito censura), ne parlano oramai da anni.

Ebru Timtik pesava 30 chili quando il suo cuore ha smesso di battere un anno fa, mentre era rinchiusa nel carcere di Ankara: aveva intrapreso lo sciopero della fame per ottenere un equo processo.

Questa avvocatessa turca per i diritti umani era stata condannata insieme a 17 colleghi per «appartenenza a un’organizzazione terroristica», secondo le accuse rivolte a lei da Erdogan. Per il despota turco qualsiasi organizzazione di attivisti o gruppo di protesta è da ricondurre a formazioni coinvolte in atti di terrorismo.

L’ultima mossa del “sultano” (che oramai le cancellerie di mezzo mondo considerano sostanzialmente fuori dal quadro democratico dopo l’affaire diplomatico del sofa-gate), è stata quella di ritirare la Turchia dal Trattato Internazionale di Istanbul sulla violenza contro le donne. Ossia il Trattato che protegge le donne da pratiche violente, tra cui infibulazione e matrimoni forzati. E che di fatto il Paese aveva già iniziato a violare, proprio con lo scandalo delle spose-bambine. 

Ma ben prima di questo, molti segnali e fatti all’interno del Paese avrebbero dovuto mettere in allarme il mondo occidentale.

L’attacco di Erdogan al sistema universitario turco per esempio, che è iniziato già nel 2016 con una “caccia alle streghe” in facoltà.

Allora nel mirino erano i docenti che avevano protestato contro la guerra ai curdi nel sud-est del Paese. Cinque anni dopo aver quasi demolito la libertà degli atenei – pubblici e privati – Erdogan torna ancora all’attacco e stavolta se la prende con gli studenti stessi.

Per la verità già molto provati da un clima politico fatto di purghe e manganelli. Dopo circa un mese di proteste studentesche, il primo febbraio scorso, la polizia in assetto antisommossa è entrata nel campus dell’Università del Bosforo a Istanbul e ha arrestato 159 persone. I ragazzi chiedevano le dimissioni del rettore Melih Bulu, dell’Akp, il partito al potere. Bulu era stato ‘nominato’ dal ‘sultano’ in persona.

La strategia erdoganiana mira in effetti smantellare l’indipendenza dell’università pubblica, nominando direttamente i rettori anziché eleggerli, con il chiaro intento di assoggettare gli atenei al potere statale. Si vuole annientare sul nascere qualsiasi opposizione culturale e politica al sistema.

«Ci hanno ammanettati e hanno continuato a picchiarci anche per le scale, mentre portavano me e il mio coinquilino in questura. Ho temuto che ci uccidessero», denunciano gli studenti. Ma attaccare in modo tanto violento e pretestuoso gli universitari non è stata una gran mossa da parte di Ankara.

Il movimento rivoluzionario di Gezi Park del 2013 non è morto ma cova sotto la cenere.

È possibile che la repressione dei mesi scorsi (e quella ancora in corso) possa dare di nuovo il via ad una grossa protesta di massa, potenziata da anni di vessazioni e repressione. Anticipata da decine e decine di episodi di violenza e decisioni giuridiche anti-democratiche.

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