In Perù, sulle montagne di Cuzco tra festa e pellegrinaggio

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«Concludo l’esperienza del pellegrinaggio esausto, influenzato e dolorante, ma soprattutto felice e grato per essere stato testimone di una fede che sulle Ande peruviane si fa vita e apre al mistero di Dio».

Sono le parole del cappellano del Santuario, a conclusione della festa de Nuestro Señor de Qoyllurit’i celebrata lo scorso anno tra il 4 e il 7 giugno a Sud est del Perù, nel distretto di Ocongate.

«È una data mobile, in quanto ogni anno si svolge 58 giorni dopo la domenica di Pasqua e prima del Corpus Domini», continua il gesuita Frank Gutierrez Blas.

«A 4.600 metri sul livello del mare, dove fede, musica, lode e colore si uniscono in cima alle montagne del Cuzco».

Dove, da più di due secoli, adulti, anziani e bambini percorrono otto chilometri su strade impervie e con temperature sotto lo zero, a partire dal villaggio di Mawallani per arrivare fino al ghiacciaio di Sinakara.

Con i suoi 90mila fedeli, infatti, la festa del Señor de Qoyllurit’i è considerata il pellegrinaggio delle nazioni indigene più grande d’America e, di recente, è stata dichiarata “Patrimonio culturale immateriale dell’umanità” dall’Unesco.

«Quand’ero a Lima, era conosciuta e celebrata anche lì, a più di 1000 chilometri, per via della forte presenza di persone originarie di Cuzco che avevano portato con sé la propria religiosità popolare», ricorda padre Alessio Geraci, missionario Comboniano che ad ottobre ritornerà in Perù per i prossimi 10-15 anni.

«è una manifestazione della profonda religiosità del Cuzco e delle altre regioni del Sudamerica», aggiunge padre Frank che, insieme ad altri sacerdoti, celebra varie messe e accompagna in processione i devoti rappresentanti delle otto nazioni partecipanti.

«Questa tradizione (che nella lingua quechua significa “neve splendente”) riunisce diverse popolazioni ed è espressione del sincretismo tra il mondo incaico e la fede cattolica dell’età coloniale», spiega Christian Mariani, missionario laico per 20 anni in quella zona, da poco rientrato con la famiglia in Italia.

Accanto alla venerazione dell’immagine di Gesù scolpita nella pietra, ritroviamo infatti il culto degli apus o montagne protettrici, in cui vivono gli Wamani o spiriti protettori.

«A differenza dell’Inti Raymi, che è molto conosciuta a livello internazionale ed è prevalentemente turistica, i pellegrinaggi al Señor de Qoyllurit’i raccontano una devozione fortissima».

Lucero Isabel Grande Hancco ha 27 anni e vive a Cuzco da 10, anche lei «mescolanza tra le credenze indigene ereditate dagli antenati Inca e quelle adottate dalle radici spagnole».

Non ha ancora partecipato al pellegrinaggio: «è un mio desiderio, ma sento che devo andarci preparata sia mentalmente che fisicamente perché il cammino dia i suoi frutti.

Finora, l’ho sempre guardato da lontano, mentre la gente si muove in carovana».

Sono tante le processioni in parallelo e almeno un centinaio le danze autoctone eseguite durante la settimana a cavallo tra fine maggio e inizio giugno.

Le comparse indossano costumi tradizionali che ricordano la flora e la fauna locale e diversi personaggi del mito; tra questi, gli Ukukus o Pabluchas, metà orsi e metà uomini, considerati i guardiani del Signore.

Sono quelli che salgono in cima alla montagna, a 6.362 metri, per raggiungere nella sua cavità la stella delle nevi e che riportavano indietro enormi blocchi di ghiaccio, simbolo di una nuova vita.

«Anche se dal 2016 non è più possibile farlo, a causa dello scioglimento dei ghiacciai» ci riferisce Christian.

I cambiamenti climatici, quindi, hanno spento un aspetto di questa festa così antica, ma la costellazione delle Pleiadi riappare ogni anno nel cielo andino e la fede della gente di Cuzco continua a rimanere sempre accesa.