La chiusura forzata della nunziatura apostolica a Managua e dell’ambasciata del Nicaragua presso la Santa Sede, la persecuzione contro monsignor Alvarez sono i segnali di una crisi dai contorni inquietanti.
In Nicaragua è in corso una persecuzione di Stato nei confronti della Chiesa cattolica.
Una persecuzione che ha raggiunto il suo culmine quando il leader del Paese, Daniel Ortega ha ordinato a metà marzo scorso la chiusura della nunziatura apostolica a Managua e dell’ambasciata del Nicaragua presso la Santa Sede.
La scelta è, di fatto, la reazione isterica di un dittatore, dopo che papa Francesco aveva criticato il recente arresto del vescovo di Matagalpa, Rolando Alvarez.
Padre Ángel Prado, ispettore dei Salesiani del Centro America sino al gennaio scorso, per anni ha avuto sotto la sua ala protettrice proprio il Nicaragua dove le Missioni Don Bosco sono presenti da oltre un secolo e di cui conosce a fondo i gravi problemi. Popoli e Missione lo ha intervistato per capire cosa stia accadendo nel Paese centroamericano.
«La nostra realtà è oggi al centro delle cronache mondiali, non solo per la condanna di monsignor Álvarez, ma anche per tutto il contesto, molto difficile, che il Paese sta attraversando».
Pesano le parole Padre Angel ed è comprensibile visto che le Missioni Don Bosco sono in prima linea e, solo nella città di Masaya, aiutano oltre duemila giovani studenti.
Lo raggiungiamo in Costa Rica, Paese confinante con il Nicaragua e che, negli ultimi quattro anni, ha ricevuto oltre 120mila profughi in fuga da Managua.
Una cifra enorme se consideriamo che la popolazione è di appena 6,5 milioni di abitanti.
A rendere difficile la situazione è «soprattutto la polarizzazione, con un gruppo che è ancora molto fedele al regime.
Non si tratta di una fedeltà che nasce dalla libertà, ma dalla coercizione.
Tuttavia l’altro gruppo è la grande maggioranza e subisce le conseguenze di un regime che sta diventando sempre più totalitario e che si manifesta nei modi che conosciamo, a livello politico, sociale ed economico.
Lì la Chiesa sta soffrendo da molto tempo, soprattutto da dopo le manifestazioni dell’aprile 2018».
Per comprendere il Nicaragua di oggi dobbiamo infatti partire proprio dal 18 aprile del 2018, quando le strade di Managua si riempirono di manifestanti, soprattutto studenti ma anche tanti lavoratori e contadini, che chiedevano le dimissioni del presidente.
La goccia che aveva fatto traboccare il vaso della protesta era economica, in seguito alla decisione di Ortega di ridurre le già misere pensioni del 5% e di aumentare invece i contributi a carico dei lavoratori, anche se il malcontento covava da tempo per la sua deriva autoritaria.
Nei due mesi successivi i morti della repressione furono 355, secondo la Corte Interamericana per i Diritti Umani.
(L’articolo per intero è stato pubblicato sul numero di maggio di Popoli e Missione. Per richiederne una copia gratuita: redazione@popoliemissione.it)