In Messico, lo Stato del Chiapas è sull’orlo di una guerra civile, con paramilitari, sicari di vari cartelli narcos in conflitto tra loro e gruppi di autodifesa in strada.
La notizia fa scalpore se pensiamo che nello Stato dove le comunità indigene sono più svantaggiate, a causa di una lunga storia di emarginazione, il primo gennaio del 1994 era scoppiata la rivolta dell’EZLN, l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale del subcomandante Marcos.
Ad agosto scorso, proprio l’EZLN ha denunciato la tragedia che sta vivendo lo Stato più povero del Messico in una conferenza stampa congiunta con i rappresentanti dei popoli indigeni locali.
Appena una settimana fa, poi, l’esercito zapatista ha annunciato l’uscita di scena dello storico ‘subcomandante Marcos’, con un avvicendamento al vertice.
Quella che sta vivendo il Chiapas in questi mesi è una situazione drammatica, confermata dal Pellegrinaggio per la Pace organizzato a fine agosto da migliaia di fedeli cattolici per chiedere alle autorità di porre fine all’escalation di violenza.
In una dichiarazione pubblica, la diocesi di San Cristóbal de las Casas ha denunciato che le bande criminali hanno reso l’omicidio e la scomparsa di donne, difensori dei diritti umani e intere famiglie un evento oramai «di routine».
La Chiesa del Chiapas ha ripudiato «l’uso di gruppi paramilitari per intimidire le popolazioni e espropriarle delle loro terre ed estorsioni e rapimenti di migranti che hanno trasformato le comunità in campi di battaglia».
Infine ha denunciato che «la criminalità organizzata qui opera con totale impunità, al fine di controllare il territorio, sfruttare le sue ricchezze naturali e raccogliere il diritto di passaggio dei migranti, violando i diritti umani dei cittadini».
Migliaia di fedeli, per lo più vestiti di bianco, con fiori, immagini religiose e striscioni, hanno pregato e cantato per chiedere pace e giustizia e hanno rimproverato alle autorità di negare la realtà della violenza in Chiapas.
Duro il parroco della Chiesa della Vergine di Guadalupe, Marcelo Pérez Pérez, che è anche il coordinatore delle parrocchie di San Cristóbal de las Casas: «Il Chiapas sta vivendo un momento molto difficile della sua storia ed è una questione così delicata che se non ci saranno azioni per costruire la pace diventeremo schiavi e ci saranno sempre più sfollati e più violenza».
Tra le aree più colpite dalle bande criminali ci sono Frontera Comalapa, La Concordia e Tuxtla Gutiérrez, la capitale del Chiapas, «che è una bomba a orologeria, abbiamo poco tempo a sinistra per fare qualsiasi cosa» ha avvertito padre Pérez, lanciando un appello al presidente del Messico, Andrés Manuel López Obrador, più noto in Messico come AMLO, affinché intervenga prima che sia troppo tardi.
Negli ultimi mesi il Chiapas è stato teatro di scontri a fuoco tra bande criminali rivali, con centinaia di omicidi, blocchi stradali e disordini di ogni tipo.
Commissariati sono stati attaccati e poliziotti rapiti, come il 16 giugno scorso, il tutto per la disputa del mercato di transito della droga e della tratta dei migranti tra i due cartelli più potenti del Messico, quelli di Sinaloa e il Jalisco Nueva Generación, più noto con la sua sigla CJNG.
Una guerra documentata dalla fuga nel nord del Chiapas, in particolare dai comuni di Pichucalco, Juárez e Reforma, di migliaia di persone.
A spiegarlo è il professore e ricercatore dell’Università Autonoma del Chiapas, Jorge López Arévalo: «ci sono corridoi per la droga, le armi e il traffico di esseri umani e questi tre comuni purtroppo sono in mezzo».
Secondo il Centro per i diritti umani Fray Bartolomé de las Casas, il Freyba, la violenza ha costretto migliaia di indigeni a lasciare le loro case per sfuggire a una situazione di guerra non dichiarata.
«Dal luglio 2021 ad oggi abbiamo contato oltre 6.000 sfollati a causa della violenza», ha dichiarato Carlos Ogaz, il responsabile per il sostegno ed il patrocinio del Frayba.
Secondo un rapporto del Centro per i Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas di un anno fa la militarizzazione non era né sufficiente né la soluzione: «durante l’ultimo decennio, l’esercito messicano ha giustificato la sua presenza in Chiapas non per l’EZLN ma per il controllo del flusso internazionale di migranti, il traffico di armi e di legname e per la lotta contro la criminalità organizzata.
Nonostante la militarizzazione in atto la percezione generale, sia nelle aree urbane che in quelle rurali, è di un accelerato deterioramento della sicurezza a causa della criminalità organizzata».
«Chiapas, sull’orlo della guerra civile» era invece il titolo di una analisi di due anni fa degli zapatisti, più amanti della lingua scritta e che non invocano mai la parola guerra.
Una premonizione che, purtroppo, oggi è diventata più attuale che mai.