Si è aperto ieri sera a Rondonopolis, nel Mato Grosso, in Brasile, il XV incontro delle Comunità Ecclesiali di Base (Cebs) con lo slogan “Chiesa in uscita, in cerca di vita piena per tutti e tutte”.
Sono 1500 i delegati da tutto il Brasile, 60 vescovi presenti, la rappresentanza continentale del movimento, (presente in 18 paesi, Canada e Stati Uniti compresi), per quattro giorni di relazioni, dibattiti, celebrazioni che prendono spunto dai “cieli nuovi, terra nuova” di Isaia 65, per dire che una Chiesa che parte dalle comunità, attenta ai bisogni degli ultimi e degli impoveriti è ancora possibile.
Ed è, come ha ribadito il cardinale arcivescovo di Manaus don Leonardo Ulrich Steiner, «profondamente inserita nel cammino sinodale».
Le giornate sono scandite dal metodo latinoamericano del vedere, giudicare, agire affrontando temi che vanno dall’ecologia all’ecumenismo, dallo sfruttamento non solo dell’Amazzonia alla Chiesa militante e comunitaria.
Schierata a favore dei poveri, in uscita secondo le indicazioni di papa Francesco, in una stagione di accentuati individualismi e polarizzazioni.
Curioso che questo incontro si tenga proprio nel profondo Mato Grosso: 80% dell’economia trainata dall’agrobusiness della soia e del miglio, in grave conflitto con il mondo indigeno (e con chi lo difende) per via delle terra.
A nome dei vescovi brasiliani a tirare le fila della “caminhada” delle Cebs c’è un italiano, Gabriele Marchesi, dal 2013 vescovo di Floresta, nel Pernambuco, partito dalla diocesi di Fiesole nel 2003 per il Brasile come missionario fidei donum.