«Non abbiamo bisogno di una Chiesa seduta e rinunciataria, ma di una Chiesa che si sporca le mani per portare il Vangelo alle periferie.
Dinanzi alle domande delle donne e degli uomini di oggi, alle sfide del nostro tempo, alle urgenze dell’evangelizzazione e alle tante ferite che affliggono l’umanità, non possiamo restare seduti.
Una Chiesa che quasi senza accorgersi si ritira dalla vita e confina sé stessa ai margini della realtà, è una Chiesa che rischia di restare nella cecità e di accomodarsi nel proprio malessere».
Una condizione che impedisce di «vedere le nostre urgenze pastorali e i tanti problemi del mondo in cui viviamo» come ha sottolineato papa Francesco ieri nell’omelia della Messa di chiusura della terza Assemblea sinodale. Si è chiuso così il cammino triennale e inizia quello delle comunità ecclesiali che in tutto il mondo rifletteranno e metteranno in atto le conclusioni del lungo lavoro assembleare raccolte in un documento finale.
«In questo tempo di guerre dobbiamo essere testimoni di pace, anche imparando a dare forma reale alla convivialità delle differenze» ha detto papa Francesco nel discorso conclusivo, aggiungendo che «alla luce di quanto emerso, ci sono e ci saranno decisioni da prendere» come si legge nel documento finale che contiene «indicazioni molto concrete che possono essere una guida per la missione delle Chiese, nei diversi continenti, nei diversi contesti: per questo lo metto subito a disposizione di tutti» in modo che «sia pubblicato».
Ascoltare il «grido di tutte le donne e di tutti gli uomini della terra: il grido di coloro che desiderano scoprire la gioia del Vangelo e di quelli che invece si sono allontanati; il grido silenzioso di chi è indifferente; il grido di chi soffre, dei poveri, degli emarginati, dei bambini schiavi di lavoro, schiavizzati in tante parti del mondo per il lavoro; la voce spezzata, sentire quella voce spezzata di chi non ha più neanche la forza di gridare a Dio, perché non ha voce o perché si è rassegnato» è il compito di una Chiesa che si sporca le mani immergendole nei problemi dell’oggi «per servire il Signore».
Sempre, richiama Francesco dobbiamo ricordarci di «ritornare al Vangelo. Sempre e di nuovo, mentre Egli passa, dobbiamo metterci in ascolto della sua chiamata».
Il cammino di una Chiesa autenticamente comunitaria e missionaria richiede la partecipazione di tutti i battezzati – religiosi, religiose, laici – ognuno secondo il suo carisma e ruolo ministeriale, come si legge nel documento finale:
«La Chiesa ha già molti luoghi e risorse per la formazione di discepoli missionari: le famiglie, le piccole comunità, le parrocchie, le aggregazioni ecclesiali, i Seminari, le comunità religiose, le istituzioni accademiche, ma anche i luoghi del servizio e di lavoro con la marginalità, le esperienze missionarie e di volontariato».
E in merito al discepolato missionario si insiste sulla formazione «tra le pratiche formative particolare attenzione va data alla catechesi perché, oltre a declinarsi negli itinerari dell’Iniziazione cristiana, sia sempre più “in uscita” ed estroversa.
Comunità di discepoli missionari sapranno praticarla nel segno della misericordia e avvicinarla all’esperienza di ognuno, portandola fino alle periferie esistenziali, senza in questo smarrire il riferimento al Catechismo della Chiesa Cattolica.
Essa potrà così divenire un “laboratorio di dialogo” con uomini e donne del nostro tempo».
La dimensione sinodale è l’orizzonte entro cui comprendere e praticare la formazione specifica necessaria per i singoli ministeri e per le diverse forme di vita. Perché ciò avvenga è necessario che «si attui come scambio di doni tra vocazioni diverse (comunione), nell’ottica di un servizio da svolgere (missione) e in uno stile di coinvolgimento e di educazione alla corresponsabilità differenziata (partecipazione).
Questa richiesta, emersa con forza dal processo sinodale, esige non di rado un impegnativo cambio di mentalità e una rinnovata impostazione degli ambienti e dei processi formativi.
Implica soprattutto la disponibilità interiore a lasciarsi arricchire dall’incontro con fratelli e sorelle nella fede, superando pregiudizi e visioni di parte.
La dimensione ecumenica della formazione non può che favorire questo cambio di mentalità».