Il terrorismo mette radici sempre più solide a Capo Delgado, nel Nord del Mozambico, e in particolare nell’ex porto turistico di Mocimboa da Praia, finito il 12 agosto scorso completamente nelle mani dei gruppi armati di matrice jihadista.
«Di certo i guerriglieri dimostrano di sapere quello che vogliono», dice al telefono con noi suor Franca, una delle missionarie di Gesù Buon Pastore che vivono a Pemba. «Mocimboa è isolata e non si sa cosa avviene lì dentro – spiega – . La preoccupazione cresce anche perché tutte le vie di accesso sono controllate dai terroristi. Non abbiamo notizia della comunità religiosa delle suore di San Josè che dovrebbero essere ancora lì. Non sappiamo più nulla di loro, solo che i terroristi hanno rubato sia la loro auto che i soldi».
L’organizzazione del terrore sembra avere addirittura «migliorato in questi mesi la sua tattica di guerriglia e incrementato le proprie risorse», come scrive l’Osservatorio sul conflitto di Cabo Delgado, gestito dall’International Crisis group.
«Si autodefiniscono affiliati allo Stato Islamico, sono ben armati e non sono allo sbaraglio, al contrario dell’esercito», ci spiegano i missionari italiani.
Dal giorno dell’ultima battaglia tra esercito e ribelli per la contesa del porto l’identità dei terroristi di Ahlu Sunnah Wal Jammah (così si fanno chiamare), si è ulteriormente definita e appare più “sofisticata” di prima.
Alcuni analisti intervistati dalla stampa africana parlano di «reclutamento di forze locali», violenza nei confronti dei militari dell’esercito mozambicano e di armi che continuano ad arrivare dall’esterno. Molta della ‘manovalanza’ utilizzata per uccidere e terrorizzare la gente proviene dalla Tanzania o dal Malawui.
«Il governo continua a dire che è tutto sotto controllo; – ci racconta anche suor Laura Malnati, superiora provinciale delle comboniane di Nampula- Ma a noi non sembra per niente così». La gente fugge dai villaggi vicini verso Nampula. Gli sfollati interni ammontano a oltre 200mila persone; nella sola città di Nampula (nella zona centrale del Paese) sono oltre 8mila.
«Scappano a piedi perché non possono permettersi un viaggio sui bus pubblici, che costano sempre di più; sono incolonnati in lunghe file e percorrono centinaia di chilometri nelle le zone boscose e la savana. Alcune donne mandano avanti i propri figli piccoli, affidandoli ad altre donne», racconta suor Laura. A Nampula le combinane fanno accoglienza degli sfollati.
Suor Laura Malnati ricorda che «nel 2016 la gente diceva che stavano nascendo gruppi legati ad un Islam “rinnovato”, molto rigido, ed avevano costruito nuove moschee in opposizione a quelle tradizionali».
Tutti i missionari che ascoltiamo, però, ci tengono molto a precisare che non si tratta di guerra di religione, ma di terrorismo che si ammanta di nomi legati al jihad e al radicalismo politico.
«Se all’inizio del 2017 gli attacchi “fantasma” contro la gente del luogo non avevano un volto chiaro – ci spiega anche don Davide De Guidi, comboniano di Nampula che sta accogliendo gli sfollati in parrocchia – a poco a poco si è compreso che si tratta di gruppi di islamisti radicali».
Anni fa, quando iniziavano ad imperversare nella zona, questi uomini hanno contratto anche matrimoni con donne del posto: «come per voler mettere radici in questo luogo – dice ancora suor Laura – e adesso rapiscono spesso giovani donne o ragazzi, e non si sa dove li portino».
Don Davide racconta di una ragazza «di nome Ancha che è riuscita a fuggire dopo essere stata rapita da questi ‘ribelli’. Ci guardava con gli occhi tristi e ancora spaventati. Non avendo il coraggio di parlare, i suoi familiari ci hanno detto che suo fratello di 13 anni era stato rapito e così anche la sorella che aveva con sé una creatura appena nata.
Fuggendo era rimasta nei boschi per sette giorni senza cibo, cercando di nutrirsi con un tubero amaro». Chi si sottrae ai rapitori o rifiuta il reclutamento, paga con la vita.
In un’altra famiglia- racconta ancora il missionario – un giovane «ci disse che suo fratello era stato ucciso assieme ad altre 51 persone, quasi tutti giovani, solo per il fatto di essere cristiani e di non voler combattere al loro fianco. Sono i martiri di Chitachi, martiri della pace e della non-violenza».
A preoccupare i missionari è il fatto che i terroristi abbiano programmato in modo molto lucido l’instaurazione di un potere economico: sembra che vogliano fare di questo porto strategico la loro “cittadella”. La scelta di un territorio come questo (ricco di giacimenti di gas liquefatto) favorisce in effetti il radicamento.
Mocimboa da Praia si trova a 60 km dalla penisola di Afungi, fulcro della attività economiche governative legate al gas naturale liquefatto.
Nelle acque profonde dell’Oceano Indiano ci sono piattaforme di grandi multinazionali, soprattutto la Total francese e l’Eni.