Ha celebrato la sua vittoria in carcere, Narges Mohammadi, insignita lo scorso 6 ottobre del premio Nobel per la pace «per la sua lotta contro l’oppressione delle donne in Iran e il suo impegno nella promozione dei diritti umani».
Attivista militante da sempre, ingegnere e giornalista, 51 anni, Narges ha saputo del prestigioso riconoscimento in ritardo rispetto al resto del mondo, a pochi giorni di distanza dal primo anniversario della morte di Masha Amini, prima vittima e icona della rivolta delle donne in Iran.
Come molte altre donne arrestate nelle rivolte di piazza, Narges si trova nel carcere di Evin (alle porte di Teheran), dopo essere stata arrestata per l’ennesima volta per “propaganda contro lo Stato” e condannata a 25 anni di carcere e 154 frustate sulla schiena.
A subire le stesse persecuzioni, secondo i dati delle Nazioni Unite, negli ultimi 12 mesi sono stati oltre 20mila manifestanti arrestati dalla polizia: si tratta nella la maggior parte dei casi di donne arrestate dalla polizia morale per la ribellione alle violenze subite e all’uso dell’hijab.
La presidente del Comitato Berit Reiss-Andersen ha spiegato che il riconoscimento è andato a Narges, come leader di «un intero movimento, per una lotta più grande di quella che può portare avanti una donna sola» e ha concluso il suo intervento rivolgendosi agli Ayatollah di Teheran dicendo «Ascoltate il vostro popolo: jin, jiyan, azadi (donna, vita, libertà)».
La forza morale di Nasrin è tale che una sua dichiarazione in risposta all’assegnazione del premio è riuscita ad uscire dalle pareti del carcere:
«Non smetterò mai di lottare per la democrazia, la libertà e l’uguaglianza. Il premio mi renderà ancora più determinata.
Al fianco delle madri dell’Iran, continuerò a battermi contro la discriminazione di genere fino alla liberazione delle donne.
Spero anche che questo riconoscimento renda gli iraniani che protestano ancora più forti e organizzati».