Il Niger, l’invisibilità del popolo e la banalità del male

Facebooktwitterlinkedinmail
Tutto è a rischio banalizzazione.La banalità del male e della violenza è una realtà quotidiana del nostro paesaggio rurale.Non più tardi della settimana scorsa è stato il turno del villaggio di Golidjo Koara, non lontano dalla prefettura di Torodi, ad appena 50 chilometri dalla capitale Niamey.I circa 350/400 abitanti del villaggio hanno ricevuto l’ordine perentorio di partire.

Lo ‘stile’ dei gruppi armati si riproduce ormai da tempo nella zona detta delle ‘Tre Frontiere’ (Burkina Faso, Mali e Niger).

Pagare una tassa, convertirsi alla religione islamica come interpretata dalle armi, oppure partire abbandonando tutto sul posto.

Il momento scelto, non casuale, sarà quello dei granai ben riempiti di miglio. Chi paga o si ‘converte’ affianca dunque gli abitanti di etnia ‘Peul’ che sono residenti stabili.

Tutto ciò dura da anni.

L’abitudine alle notizie di ulteriori sfollati non interessa la cronaca e i motivi sono diversi.

Si tratta di semplici contadini e dunque di ‘invisibili’, la cui eventuale sparizione non scalfisce nulla e nessuno se non le eventuali statistiche aggiornate.

Sono senza importanza politica e i loro figli, spesso estromessi dal circuito scolastico, non faranno mai parte della nuova elite militare-politica che governerà il Paese, un giorno.

Poi parlarne troppo potrebbe mettere in discussione la narrazione ufficiale che continua ad affermare la ‘crescita in potenza’ delle forze armate e, più in generale, la promessa di rendere più sicuro il Paese.

Fu una delle ragioni addotte per il golpe.

 Nel frattempo si assiste a manifestazioni di appoggio all’attuale regime militare da parte della quasi totalità della società civile, sindacati di associazioni degli studenti e delle scuole primarie compresi.
Non mancano, in mancanza di meglio, le tavole rotonde, i dibattiti sul neoimperialismo che, secondo gli organizzatori di tali dibattiti, si trova in mortale difficoltà nei Paesi dell’AES (Alleanza degli Stati del Sahel).
L’altro motivo per l’invisibilizzazione dei contadini risiede nella preoccupazione, più o meno fondata (e la storia lo dirà), degli attacchi e tentativi di destabilizzazione del Nemico, naturalmente occidentale.
Proteggere il regime o i contadini che contribuiscono a nutrire il Paese, di economia agricola, è un dilemma facilmente risolvibile, soprattutto con i russi e i turchi ormai implicati.

Se Italo Calvino descriveva le ‘Città invisibili’ con l’occhio dell’esploratore e dello scrittore, da noi si tratta di un Paese ‘invisibile’, costituito da rifugiati, migranti, sfollati, poveri e, in genere, ‘inutili’ al sistema.

Nella nuova Costituzione, ancora in cantiere, si suggerisce di rifondare la Repubblica su nuove basi che non siano quelle della democrazia classica di matrice occidentale.

In questa parte del globo essa sembra destinata al macero e si preferisce siano i militari a dettarne le regole e le applicazioni.

Tra i suggerimenti che saranno difficilmente presi in considerazione, si potrebbe ipotizzare un preambolo innovativo.

Una Costituzione che assicurerà un ruolo di eccellenza, riconosciuto e non negoziabile al ‘Paese Invisibile’.

Le persone sopra menzionate uscirebbero, per sempre, dall’invisibilità tramite la casa, il lavoro, la scuola e soprattutto la parola.

Ampie garanzie di priorità sarebbero assicurate ai bambini che impareranno di nuovo a giocare con la pace.