Il mistero di padre Paolo Dall’Oglio e il baratro siriano

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Esiste un vincolo molto stretto tra la sorte di padre Paolo Dall’Oglio e quella del popolo siriano («il suo popolo», come sottolineano gli amici del gesuita). «Quando la tragedia della guerra in Siria sarà finita, forse si scioglierà anche l’enigma di Paolo», rapito a Raqqa il 29 luglio del 2013 e non ancora tornato a casa.

Questo è il sentimento generale che anima i famigliari, gli amici di padre Paolo e i giornalisti che lo ricordano.

A sette anni dal suo rapimento, la figura (e la sorte) del fondatore del monastero di Mar Musa in Siria, sono al centro di riflessioni e dibattiti, come quello di oggi alla Federazione Nazionale della stampa a Roma.

«Io continuo a sperare che sia vivo – ha detto la sorella Francesca Dall’Oglio – e i riscontri che ho avuto durante questi sette anni vanno in tale direzione: c’è un filo che mi fa pensare che Paolo sia ancora vivo».

La sorte di padre Paolo è vincolata a quella di un popolo ancora ostaggio del regime siriano. «Io so che parlare di Paolo vuol dire parlare di Siria e di scomparsi in Siria – ha detto ancora Francesca Dall’Oglio – Stiamo parlando del bisogno di verità».

I relatori intervenuti, dal giornalista Riccardo Cristiano al presidente del Centro Astalli, padre Camillo Ripamonti, al prefetto per le Comunicazioni della Santa Sede, Paolo Ruffini, hanno tutti messo in luce anzitutto il grande merito del gesuita: l’aver promosso il dialogo islamo-cristiano e incoraggiato la conoscenza vera dell’Islam. E poi ricordato che Paolo è stato tra i primi a puntare il dito contro le atrocità del regime di Assad durante la rivoluzione siriana e a denunciare la sorte dei dissidenti scomparsi in Siria.

«La storia di Paolo si identifica con quella di milioni di siriani espulsi dal Paese e poi sequestrati dall’Isis», ha detto Riccardo Cristiano.

Le fosse comuni di Raqqa ci raccontano dell’atroce fine di migliaia di persone uccise dall’Isis; di altrettante, imprigionate dal regime non si sa più nulla. Fare pressione per la loro liberazione è un dovere della comunità internazionale.

«Noi come italiani non abbiamo fatto abbastanza; nelle scorse settimane la stampa ci ha parlato di fosse comuni a Raqqa – ha ricordato Cristiano – Bisogna chiedere, e capire cosa è successo».

All’incontro sono intervenuti anche il presidente della Fondazione Ratzinger, padre Federico Lombardi che ha detto: «intervengo come confratello e amico personale di Paolo. Col passare del tempo sento ancora di più la sua presenza attorno alla quale si riconnettono incontri e conoscenze. La sua memoria è viva e ci ispira».

Tramite un audio-messaggio il presidente del Parlamento Europeo, David Sassoli ha voluto far sentire la propria voce: «Non ci stancheremo mai di chiedere la verità sulla sua scomparsa – ha detto – Ricordare Paolo è un dovere per non disperdere il grande patrimonio civile e culturale che rappresenta».

Forse quello di Dall’Oglio è davvero «il sequestro che non deve finire», come pensano in molti. Padre Paolo ostaggio di un paese, di un regime e di una serie di verità sommerse. «Quando il baratro siriano sarà concluso», afferma la sorella, forse sarà svelato anche il mistero di questo rapimento.

(Foto: ibtimes.co.uk)