La difesa degli animali selvatici e dei loro diritti supera spesso la tutela degli esseri umani e dell’appartenenza delle comunità indigene alla propria terra.
In nome di un “conservatorismo” che però sa molto di colonialismo.
Sta accadendo in Africa- tra Uganda, Kenya e Tanzania – ma anche in India, nelle ‘riserve della Tigre’, dove le autorità sfrattano le popolazioni indigene per far spazio agli animali.
«Non siamo riconosciuti come tribù e non abbiamo diritti.
Viviamo come comunità senza Stato, in Uganda ci considerano apolidi», ci spiega da un villaggio remoto sui monti Elgon, in Uganda, David Chemutai, che lì vive e si batte per i diritti della comunità.
La cosiddetta “conservazione” ambientale oggi è sempre più una minaccia e una nuova forma di colonialismo:
«ci sparano addosso», denuncia David, mentre ci mostra da remoto la foto di un ragazzo ferito ad una gamba mesi fa, e colpito dai bracconieri perché entrato in una zona off limits.
Questa è una regione vulcanica sorta 24 milioni di anni fa, agli albori dell’umanità e delle ere geologiche: qui la logica prevalente è quella della “conservazione coloniale” delle foreste.
«Il mito della natura selvaggia è un mito coloniale e razzista, adottato purtroppo dal governo ugandese e dalle multinazionali ma anche da Ong come il WWF», ci spiega Fiore Longo, ricercatrice di Survival International.
«Il modello di base è che per proteggere le aree naturali bisogna creare delle oasi incontaminate, senza esseri umani dentro- aggiunge – Ma questa è una follia».
Il conservatorismo è ispirato al mito razzista delle riserve per i nativi americani, che tratta la natura come entità separata dagli uomini, e proprio qui sta il dolo.
«Non è certo l’uomo a distruggere la foresta ma il capitalismo!», dice Fiore Longo.
La ricercatrice parla di «imperialismo che insiste sulla creazione di spazi naturali protetti».
Il paradosso è che gli uomini in quest’ottica sono considerati meno importanti degli alberi.
La stessa violazione dei diritti umani, in nome di un conservatorismo della natura senza senso viene replicata anche in India: negli ultimi anni migliaia di persone, e in particolare gli indigeni Adivasi, hanno organizzato imponenti proteste in tutto il sub-continente indiano, per denunciare lo sfratto forzato, considerato una violenza.
Le proteste si stanno diffondendo nelle riserve della Tigre più celebri, tra cui quelle di Nagarhole, Udanti-Sitanadi, Kaziranga, Rajaji e Indravati.
Qui sono quasi 400mila gli Adivasi che rischiano l’espulsione dalle loro terre e altre migliaia di persone sono già state allontanate.
«La creazione di riserve nelle nostre terre è una violazione della legge perché noi non abbiamo dato il nostro consenso, né siamo stati consultati», ha spiegato l’attivista adivasi JK Thimma.
«Ora hanno messo dei cartelli sulle nostre terre dichiarandole parchi nazionali o riserve della Tigre. Ma sono solo degli invasori: questa violazione dei diritti indigeni deve finire».