Le gang ad Haiti hanno cambiato tattica e sono meno rumorose: si stanno travestendo da eroi della patria che hanno liberato Haiti da un primo ministro non eletto, non amato e non voluto.
Si stanno limitando a pochi rapimenti, poche esecuzioni, molte estorsioni a coloro che cercano di resistere con il loro commercio, sempre più misero.
Le loro vittime sono soprattutto gli autisti delle macchine sconquassate e colorate usate come trasporto pubblico, qui chiamate tap-tap, che ogni qualche metro pagano un pedaggio alla banda che ha il potere su quel tratto di strada. I banditi fermano i veicoli ostentando armi da guerra, senza che nessuno lo impedisca.
Gli autisti consegnano i soldi richiesti, come se fossero vere e proprie tariffe che variano a seconda dei mezzi.
E sono i passeggeri a pagare: infatti, il costo dei viaggi, sia cittadini che all’interno del paese, è cresciuto a dismisura.
Un esempio: il collegamento dalla capitale a Mare Rouge nel Nord-Ovest, dove vivo, è ripreso con estreme difficoltà dopo mesi di isolamento, ma il costo è passato da 500 gourd di qualche mese fa a 7.500 gourd oggi, cioè da un po’ meno di 4 dollari US a quasi 57 dollari.
Per un paese dove il 60 per cento della popolazione vive sotto la soglia della povertà, cioè con meno di 2,5 dollari US al giorno, è un costo assurdo.
Ma non è solo questo: il viaggio, pericoloso già normalmente per le condizioni delle strade, adesso lo è anche e soprattutto per gli agguati delle gang che estorcono e rapiscono interi autobus.
Un viaggio di circa 220 km, che dovrebbe durare circa 8 ore, richiede 2 giorni e attraversa tutto il paese per evitare le zone più pericolose.
Ma non è solo questo. I banditi sono ovunque.
Sono allo scoperto, spavaldi, arroganti, sicuri. Le armi sono portate con l’abitudine di chi porta una borsa, un ombrello. Armi da guerra.
Sempre rinnovate, sempre cariche di munizioni, che non mancano mai.
I soldi delle estorsioni sono usati anche per pagare i derelitti che non hanno più nemmeno la forza di pensare, la gente che ha sofferto e soffre fino a perdere il buon senso in un degrado che li obbliga a cercare di sopravvivere in ogni modo.
Il denaro estorto viene distribuito anche nei quartieri devastati dalla fame causata dalle stesse gang e serve a fomentare manifestazioni contro gli interventi stranieri nel paese.
Militari stranieri, che sono tanto attesi ma mai inviati, mentre la gente muore.
Ma qui è facile passare dal rifiuto del militare straniero all’odio verso lo straniero.
Giovedì 23 maggio, tre missionari evangelici, di cui due americani bianchi, sono stati uccisi in modo estremamente violento nell’orfanotrofio di cui erano responsabili, a due passi dall’ospedale San Camillo, davanti ai bambini da loro accolti.
Sono caduti in un agguato al ritorno dalla celebrazione in chiesa.
Hanno dato le ultime notizie ai loro cari praticamente in diretta, usando un wi-fi, perché le comunicazioni sono praticamente impossibili altrimenti, in uno scambio concitato di messaggi, fino a che tutti i telefoni si sono zittiti.
Nonostante tutti gli appelli, nessuno è intervenuto.
Le gang hanno depredato tutto, vandalizzato, picchiato, ucciso, bruciato i corpi.
Sui social le immagini sono raccappriccianti.
I due giovani americani, Natalie e Davy Lloyd, erano rispettivamente figlia e genero di un deputato repubblicano statunitense e missionari evangelici, moglie e marito di 21 e 23 anni.
Jude Montis, il responsabile haitiano dell’orfanotrofio che ha condiviso la loro sorte, ne aveva poco più di 40.
*L’autrice di questo articolo è missionaria fidei donum ad Haiti e lo si può leg
gere sul suo Substack: https://substack.com/@maddalenaboschettihaiti).