Senza viveri, vestiti, derubati, vessati, intere famiglie di migranti devono passare nuovamente sotto le matasse di filo spinato per tornare dalla Polonia alla Bielorussia, dove il premier bielorusso Lukashenko nel 2021 aveva dato l’illusione dell’apertura di una rotta per migranti verso l’Europa, usando invece quelle migliaia di disperati come “bombe umane”.
In questi due anni nel bosco di Bialoweza centinaia di persone sono scomparse nel nulla.
Il film “Green border” della regista polacca Agnieszka Holland fa luce su una delle tragedie del nostro tempo con un lungometraggio a metà tra la narrazione di un film e il documentario.
Presentato alla 80esima Mostra del cinema di Venezia dove ha vinto il premio speciale della Giuria, “Green border” è una denuncia dura e potente delle condizioni disumane in cui migranti in fuga sono costretti a sopravvivere e morire in molti casi, spinti dal sogno dell’Europa.
E chi vede questo film non può più far finta di non sapere, tanto è cruda la realtà in cui si è immersi seguendo le vicende di una famiglia siriana proveniente da Harasta, città a Nord di Damasco distrutta dalla guerra.
Viaggiano su un volo di linea turco e dopo l’atterraggio a Minsk, pensano di passare in polonia e di lì alla Svezia per un ricongiungimento familiare.
Con questa speranza sognano l’Europa, il benessere, la pace e la stabilità.
Insieme a loro una donna, afghana, cerca l’asilo in Polonia e subisce lo stesso destino: quello di essere cacciati, di fare chilometri a piedi di notte con i piedi che sanguinano, e le ferite che vanno in setticemia.
Ladri e militari li picchiano, li derubano di tutto, i cellulari scarichi e senza segnale vengono distrutti brutalmente, una bottiglia di acqua costa 50 euro, ma dopo avere intascato i soldi un militare ne rovescia per terra il contenuto.
In mezzo ai pianti dei bambini si cerca una via di fuga, un riparo, con i vestiti sempre più sporchi e stracciati dai passaggi nel filo spinato del confine.
Un incubo che la regista Holland ci racconta da diverse angolature: un giovane soldato polacco, aspetta di diventare padre e frequenta di malavoglia i “corsi formativi” per la polizia di frontiera in cui si spiega la pericolosità dei migranti quasi tutti terroristi e malviventi evasi dal carcere.
Nel bosco ci sono anche i volontari delle associazioni umanitarie “tollerate”, ragazzi che soccorono i malati, le partorienti, i bambini.
In un girone infernale in cui la sola speranza è quella di ritrovare l’umanità delle persone.