A Carabayllo, nell’estrema periferia a Nord di Lima, i tetti di lamiera sono en pendant con il cielo grigio del Perù.
«È praticamente un deserto dove non piove mai, ma il clima è sempre umido», spiega don Ivan Manzoni, fidei donum della diocesi di Como, rientrato a fine aprile dopo nove anni di missione.
È arido, il paesaggio di Carabayllo, e di verde non c’è nulla, se non la speranza.
Quella della povera gente «che negli ultimi 30, 40 anni si è riversata in città dalla foresta, nella vana ricerca di un futuro migliore».
Lima, oggi, conta 10 milioni di abitanti «ma non ce la fa a sostenere questo numero, non riesce a rispondere alle aspettative di chi cerca lavoro, più servizi, più diritti», continua il sacerdote, nato a Verceia (Sondrio) nel 1978.
È arrivato dalla Val Chiavenna nel 2013, prima nella parrocchia di San Pedro con don Roberto Seregni e poi, dal 2016, in quella di Nuestra Señora de Fatima; e la nebbia non gli ha impedito di vedere. «Il degrado, la criminalità, la povertà.
E, ancora, quella sorta di case, fatte di legno o di terra, ammucchiate tra i cerros, dove la gente vive spesso senz’acqua e fognature».
Gli occhi allenati «fin da bambino, da un parroco aperto alla missione» gli consentono infatti di allargare lo sguardo.
Non si limitano, quindi, ai dati sul lavoro nero («prima della pandemia, la percentuale era del 70%») né alle cronache sulla classe dirigente corrotta («a partire dal 1990, con il presidente Fujimori, tutti i capi di Stato sono stati inquisiti»).
Gli occhi di don Ivan guardano oltre. Cercano tra le curve di esistenze difficili la schiena dritta della dignità.
Scorgono «uomini e donne che si sanno inventare e che, con un carrettino, escono a vendere caramelle sui bus o a riparare marmitte sul bordo strada».
(Questo articolo per intero sarà pubblicato sul numero in uscita di Popoli e Missione di novembre)