Giornata Missionaria Mondiale a misura di bambino

Storie di bambini del Sud del mondo rinati grazie ai missionari

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Storie di piccoli “cuori feriti” che dopo l’incontro con Gesù, anche attraverso i missionari che ne testimoniano l’Amore, sono stati sanati: si sono trasformati in “cuori ardenti”, sorretti dalla Parola.

Nel groviglio di umanità dolente del 21esimo secolo, dove i missionari non stentano ad entrare e a farsi compagni di viaggio dei protagonisti delle periferie geografiche ed esistenziali, le situazioni di sofferenza e delusione interpellano chiunque desideri il bene e la dignità del prossimo.

Nel buio delle tante esistenze sono molti i cuori che fanno fatica a battere, bloccati dal peso del dolore, spenti dalle ingiustizie subite, paralizzati dalle disumane condizioni di vita a cui sono costretti.

Questi “cuori feriti” vengono spesso intercettati dai tanti missionari che operano negli angoli più nascosti del mondo: nel silenzio e nell’anonimato testimoniano l’Amore di Dio per tutti i suoi figli e si fanno compagni di viaggio degli ultimi, verso un domani che piano piano si illumina di speranza e di fede.

Sorretti dalla Parola del Vangelo, forza supplementare che mette le ali ai piedi, i cuori feriti riprendono a pulsare, ad ardere, e si mettono in movimento.

E’ proprio questa l’esperienza raccontata dai missionari nelle storie che seguono: storie di bambini e ragazzi paralizzati dalla stanchezza di realtà insopportabili, dove la vita sembra naufragata nella violenza dell’ingiustizia e della dignità negata, fin quando non ritrovano la strada e riprendono lo slancio del cammino.

Lo fanno anche grazie all’incontro con i missionari, testimoni del Vangelo che «è uno splendido scrigno – per usare le parole di don Ezio Falavegna, docente di Teologia pastorale alla Facoltà teologica del Triveneto – in cui si custodiscono questi cuori feriti, spenti o ardenti. Cuori che comunque vibrano e che Dio ama incontrare, interpellare, riattivare, accompagnare, per riaprirli alla forza della vita».

 A raccontare la storia di Peter, un bambino che aveva 12 anni quando tutto è cominciato, è suor Expedita Pérez Leon, missionaria comboniana.

Fuggito dalla guerra in Sud Sudan, dove era stato costretto a vivere in assenza delle più basilari norme igieniche, era rimasto vittima di una grave malattia che lo aveva portato alla cecità. «Arrivò alla nostra missione, in Sudan, completamente cieco.

Quando andai a trovare la nonna e il fratello che erano malati di tubercolosi, Peter era in un angolino della capanna con un paio di occhiali neri sugli occhi.

Aveva un rosario al collo e, uscendo, mi fece una richiesta insolita: “Sister, la prossima volta puoi portarmi una Bibbia?”. Mi chiese anche di trovargli qualcuno che gli insegnasse il braille, perché – specificò – “voglio conoscere Gesù”.

La richiesta era inconsueta ma non potevamo ignorarla. Siamo riuscite ad iscriverlo ad una scuola a Khartum, nella capitale del Sudan. E da quel momento la vita di Peter si è rimessa in moto».

Animato da grande intelligenza e forza di volontà, quel bambino ha studiato e superato le scuole primarie e secondarie in quattro anni.

Nel frattempo continuava a ripete: «Quando avrò concluso gli studi, voglio tornare in Sud Sudan per insegnare ai bambini ciechi quello che io ho imparato grazie alla seconda mamma che Dio mi ha dato (cioè suor Expedita, ndr).

Una possibilità che mi ha donato Gesù perché, incontrandolo, ho scoperto che c’è una vita diversa». Peter ha mantenuto la promessa.

Oggi è un professore, è tornato in Sud Sudan ed è padre di due bambini. Qui continua a condividere i doni ricevuti: quello della fede e quello della conoscenza.

 Per comprendere fino in fondo la storia di Angela, una bambina filippina di otto anni, occorre immergersi nella povertà più estrema dei sobborghi di Manila, sui marciapiedi di Quezon City, quartiere dove sorge la casa religiosa dei missionari Figli di Sant’Anna.

Qui vive la famiglia di Angela, insieme a tante altre. Non hanno un’abitazione, neppure una baracca o un qualcosa che le somigli.

Stanno per strada e, per guadagnarsi da vivere, per tutto il giorno girano con dei carretti (caretton in lingua locale) tra le vie della città e raccolgono cartone, plastica e qualsiasi altro materiale possa essere venduto.

Di notte, questi caretton diventano il letto dei bambini, mentre i genitori dormono per terra.

I missionari Figli di Sant’Anna cercano di aiutare le famiglie della strada in diversi modi: accompagnando i padri nel loro lavoro di raccolta dei materiali lasciando che le mamme badino ai più piccoli, oppure occupandosi dei bambini in età scolare, insegnando le nozioni scolastiche basilari con cartelloni e lavagne improvvisate e parlando loro di Gesù.

«Sono persone che hanno bisogno di aiuto e non devono essere lasciate sole.

Così – racconta fra Ruel Ababon Jumao-as – noi missionari, insieme alle Figlie di Sant’Anna, abbiamo pensato di accoglierle una volta a settimana e di offrire loro un pasto sostanzioso e l’acqua del nostro giardino per ristorarsi; abbiamo anche invitato queste famiglie a pregare insieme a noi, donando ai bambini la corona del rosario».

E’ accaduto, però, che per un breve periodo i missionari abbiano dovuto interrompere questo servizio.

E in quei giorni Angela si è fatta viva. «Ha bussato al portone della nostra casa. Perché ha fame, penserete voi.

No, non per questo motivo», racconta fra Ruel. «Alla mia domanda, Angela ha risposto: “Non sono venuta per mangiare, ma per pregare con voi, insieme ai miei genitori”.

Mi ha spiazzato. Il suo è davvero un piccolo cuore ardente che, attraverso noi missionari, ha incontrato Gesù e che ora dà a me la spinta per continuare la mia missione».

 «Ero alla mia prima esperienza missionaria e in quella circostanza mi lasciai guidare dalle parole di san Daniele Comboni: “Dobbiamo stare accanto agli ultimi, ai più abbandonati”.

Così presi il coraggio di mettermi dalla parte di Marcelo e dissi: “Se cacciate lui, dovrete mandare via anche me”.

Siamo rimasti entrambi. E oggi Marcelo è la gioia di tutti».

Comincia così il racconto di suor Loreta Beccia, missionaria comboniana che all’epoca di questa storia si trovava nella città di Esmeraldas, in Ecuador, e lavorava in una scuola superiore gestita dalle Pie Madri della Nigrizia.

Marcelo era uno studente di 16 anni, da piccolo era stato abbandonato dal padre, e la madre era sempre stata troppo poco concentrata su di lui.

Era arrivato in quella scuola al suo penultimo anno di superiori.

«Di solito, noi non accettavamo studenti alla fine del loro percorso di studi, ma come “una sorpresa di Dio” ce lo siamo ritrovati e la sua vita ha cambiato la mia.

Purtroppo Marcelo consumava droga, che lo rendeva dipendente e gli faceva dare il peggio di sé.

Un giorno ha compiuto un grave atto violento e gli fu prospettata l’espulsione».

Fu in quel momento che suor Loreta prese le sue difese.

«Da quel momento abbiamo camminato insieme, si è fatto aiutare, ha cominciato a credere in sé stesso e nelle sue capacità e ha aiutato chi lo circondava a credere in lui, cambiando forse anche un po’ il cuore di chi lo incontrava.

Ha avuto la forza di lasciarsi abitare da Dio e di far sì che il vecchio Marcelo lasciasse spazio a quello rinnovato, risorto», racconta suor Loreta con commozione. Il suo sogno di allora era quello di diventare calciatore.

Oggi, invece, studia per assistente sociale. Quando gli domandano del perché di questa scelta, Marcelo risponde: «Io so cosa vuol dire cadere in un buco nero e profondo, ma so anche cosa significa trovare la mano amica di qualcuno che ti aiuta a rialzarti.

Oggi, con la mia esperienza di morte e resurrezione, posso aiutare molti altri giovani».

E così, conclude la missionaria, «il cuore ferito e inquieto di Marcello si è trasformato in un cuore ardente per Dio e per l’umanità».

  (L’intero dossier con altre storie è stato pubblicato sul numero di settembre-ottobre di Popoli e Missione)