“E’ atterrato! La gente si è raggruppata lungo la strada in attesa di Papa Francesco, e ha aspettato tre ore, per cui ci sono stati momenti di preghiera e di riflessione.
Le due tv di Stato hanno trasmesso i momenti salienti dell’atterraggio e il piccolo benvenuto al Papa con il vice-primo ministro”.
A raccontarci da Port Moresby e dalla casa dei missionari salesiani in Papua Nuova Guinea, i primi momenti della visita apostolica di Francesco, è padre Angelo Fazzini, 76 anni, da 42 anni nel Paese dell’Oceania, originario della diocesi di Milano.
“In questi giorni stiamo ancora lavorando per mettere su le luci, per dare una sorta di maggiore illuminazione, perché il Papa domani arriverà qui da noi piuttosto tardi e alle 18 farà già buio”, racconta.
Da programma, in effetti, Papa Bergoglio attorno alle 17 locali di sabato incontrerà i ragazzi senza famiglia e i disabili del Callan Services, seguiti dal Caritas Technical Secondary School.
Ma, come spiega il salesiano, “concretamente l’incontro si tiene nella grande palestra delle suore del Sacro Cuore di Gesù, che condividono un pezzo di terreno con noi salesiani.
E quindi il Santo Padre vedrà anche noi missionari! La gioia è enorme!
Qui abbiamo un bel numero di ragazzini del vicinato che non vanno a scuola perché non sono pronti e sono seguiti dal learning center”.
“Questa visita apostolica era stata già annunciata tre anni fa e la comunità cristiana della Papua Nuova Guinea attendeva da tempo Francesco. Finalmente il sogno si realizza!”.
A parlare è il fidei donum don Michele Morando, che ha vissuto in missione in Papua Nuova Guinea dal 2014 fino a pochi mesi fa, quando è tornato a Verona.
“So che lo sforzo, anche economico, messo in campo dalla Chiesa e dalle autorità locali è stato enorme – dice – e questo la dice lunga sull’attaccamento che nutrono per Francesco e per la Chiesa di Roma.
Come è ben comprensibile questo non è un Paese che naviga nell’oro, nonostante la ricchezza della terra e la grande fertilità del suolo.
L’unica cosa che ci dispiace è che il Papa non andrà nelle isole di New Britain, dove anche Giovanni Paolo II nel suo viaggio apostolico all’ultimo non andò, nonostante fosse programmato, per via del rischio di eruzioni vulcaniche”.
È stato parroco a Keravat, nella diocesi di Rabaul: “in New Britain il contesto sociale è una mescolanza di etnie, con studenti che frequentano il Centro ricerche di agronomia per le coltivazioni di cocco e di cacao dell’università di Vudal; con la scuola secondaria a carattere nazionale;
con i lavoratori impegnati a Kerevat, al Centro del distretto sul confine della regione Tolai e Baining”, racconta.
Don Morando ci spiega che la “fede in Papua è molto molto profonda: qui non c’è distinzione tra naturale e soprannaturale, a differenza dell’Occidente il contatto con ciò che non è immediatamente visibile è fortissimo.
C’è anche una devozione incredibile, una fede viva. Lo si vede nelle processioni dell’ottobre mariano e in altri momenti di preghiera collettiva”.
Ma di cosa vive la gente nel Paese dell’Oceania con una diversità biologica e culturale immensa, celebre per la bellezza della barriera corallina?
Vita semplice e anche tante contraddizioni.
Don Morando ha trascorso alcuni anni anche sulle Higland, le alture in Papua, dove “l’economia è di sussistenza, una agricoltura famigliare: si vive di quello che produce la terra e c’è da dire che qui la terra è molto generosa”.
Se non fosse per le compagnie internazionali che anche qui approfittano di business redditizi, come quello del legname e dei crediti di carbonio.
“La terra diventa facilmente preda di compagnie che riescono ad ottenere vantaggi economici”, conferma don Michele.
In effetti la Papua Nuova Guinea assieme a Paesi come Repubblica Domenicana e Bahamas (nonché numerosi Paesi africani) è target di società come la controversa Bluecarbon, di Dubai, che in modo opaco acquista ettari di foresta per vendere crediti di carbonio ai Paesi ricchi, che così scaricano il peso delle proprie emissioni di Co2 altrove.