A giudicare dai numeri e dalla capillarità del fenomeno, la tratta di esseri umani in tutto il mondo è lungi dall’essere ‘debellata’. Anzi, appare persino in aumento. Erano 40,3 milioni nel 2017 le donne, gli uomini e i bambini ridotti in schiavitù in tutto il mondo, secondo il Global Slavery Index, dell’australiana Walk Free Foundation. Il 71% di questi nuovi schiavi sono donne e tra queste donne ci sono molte bambine.
«Purtroppo se ci fermassimo a guardare gli effetti della tratta ci conferma suor Gabriella Bottani, comboniana, coordinatrice del network internazionale delle religiose Talitha Kum – dovremmo dichiarare un fallimento quasi totale nel contrastarla».
La quantità di donne, soprattutto nigeriane che vengono trafficate in tutta la regione del West Africa ad esempio – dal Niger al Mali al Burkina e Togo – è purtroppo in aumento.
Ma anche stavolta la good news c’è. Si tratta del potenziamento costante e sempre più efficace di una seconda rete, quella che riscatta e libera le persone: Talitha Kum rilancia il suo impegno con una campagna mirata, avviata questa estate.
Si chiama “Cura contro la tratta”. Con l’hashtag #CareAgainstTrafficking.
In questo senso possiamo definire le suore (e anche i religiosi, i laici, i cooperanti e tutti coloro che si impegnano su questo fronte) di Talitha Kum delle donne coraggiose e tenaci.
«L’idea della campagna – spiega suor Gabriella a Vatican News – nasce dall’esperienza del tempo che stiamo vivendo, segnato dalla pandemia. Un tempo in cui abbiamo imparato e recuperato il valore della cura, ed è la cura contro la tratta delle persone il tema della campagna.
L’hashtag #CareAgainstTrafficking ci ricorda il valore della cura, una parola questa tanto cara al Papa che nell’ultima edizione della Giornata di preghiera e riflessione contro la tratta, l’8 febbraio scorso ne ha parlato».
Prendersi cura significa aiutare le persone ad uscire da un tunnell, prendere a cuore i singoli casi, fare rete, fornire soprattutto alle donne delle alternative di vita.
Ricordiamo solo che tra i principali settori del mercato mondiale in cui si annida la schiavitù dei lavoratori nei Pvs, c’è quello dei PC, dei tablet e dei telefonini. Segue l’abbigliamento e poi il commercio del cacao.
In Costa d’Avorio le piantagioni di cacao sono talmente estese e redditizie (per il resto del mondo) da coprire il 45,9% del fabbisogno mondiale, con grande gioia della Mondelz e della Hershey (multinazionali statunitensi del cioccolato).
Ma ai produttori locali non arriva quasi nulla del profitto complessivo mondiale e nelle piantagioni i lavoratori (soprattutto bambini) vengono schiavizzati.
(Nel numero di novembre di Popoli e Missione in lavorazione, un approfondimento in attualità parlerà proprio degli schiavi del cacao).