“Dalla parte dei popoli, non delle élite”, in Iran come in Africa

Intervista al giornalista ed accademico congolese Jean-Léonard Touadi

Facebooktwitterlinkedinmail

Nelle Afriche, e non solo, sistemi politici formalmente democratici restano fondamentalmente autoritari. Le proteste popolari chiedono un cambiamento di rotta. Ce ne parla Jean-Léonard Touadi.

Ci troviamo ancora in una fase di transizione della Storia dove alle certezze (fortemente ideologiche e binarie) della Guerra Fredda, la governance mondiale non ha saputo sostituire altre logiche, alimentando di fatto un caos globale.

A parlarcene in questa intervista a Popoli e Missione è Jean-Léonard Touadi, accademico, politico, scrittore e giornalista italiano, originario della Repubblica Democratica del Congo.

Touadi ci spiega perché è così importante stare dalla parte dei popoli. In Iran come in Congo, in Tunisia come in Afghanistan o in Senegal, la società civile si batte per le libertà negate.

«Quando è caduto il Muro di Berlino – argomenta l’esperto – molti analisti avevano frettolosamente pensato addirittura alla fine della Storia, ossia alla vittoria definitiva del capitalismo che avrebbe regalato democrazia e pluralismo a tutti.

Così però non è stato: le grandi promesse degli anni Novanta non sono state mantenute e la utopica speranza è crollata».

Abbiamo semmai assistito, dice Touadi, ad una «espansione del capitalismo sregolato, senza godere affatto, dall’altra parte del mondo, di un arretramento delle aree di povertà».

In alcune regioni del globo, «soprattutto nelle Afriche, c’è stato anzi un ritorno a sistemi politici formalmente democratici (per la presenza delle elezioni) ma fondamentalmente autoritari».

E questo ha schiacciato le aspirazioni delle persone, dei più semplici, dei giovani in particolare, che nel frattempo entravano nella modernità condivisa e in un sistema di comunicazione globale, in contatto con i coetanei del resto del mondo.

Touadi ci spiega alcune ragioni sociali e politiche del più grande flop dei primi anni del Duemila, che ha visto inseguirsi due eventi catastrofici, all’origine dello sconvolgimento attuale.

«Ci sono state due crisi importanti: quella del 2007 (ossia del cibo, che ha portato allo scoppio del malcontento e alle Primavere arabe), con una impennata dei costi dei prodotti agricoli oltre ogni misura; e poi immediatamente dopo quella a noi più nota, la crisi finanziaria del 2008-2009, con la bolla dei mutui sub-prime che ha poi determinato il crollo di Wall Street».

Da quel momento in poi sono successe diverse cose importanti a livello macro: «anzitutto la fine totale della grande illusione di prosperità» che aveva dominato fino ad allora.

«Le Primavere arabe hanno segnato una iniziale rivolta dei popoli ed un ridimensionamento del nostro mal riposto ottimismo nella globalizzazione economica che aveva messo in luce l’insoddisfazione “dell’ultimo miliardo” di esseri umani», argomenta Touadi citando Paul Gautier.

Ossia quelle persone che per loro condizione non sono in grado né di consumare né di produrre.

L’ ”ultimo miliardo” è formato dai poveri e dagli emarginati del nostro pianeta, in coda al sistema economico globale, che non seguono lo schema di sviluppo degli altri.

Le Primavere arabe, in definitiva fallite, in Egitto come in Libia o in Siria, e certamente in Tunisia (qui la rivoluzione pur riuscita ha subito una battuta d’arresto), hanno portato allo scoperto queste ed altre “storture” del sistema.

Sono state svelate «le cosiddette “democrature”, ossia i sistemi ibridi, dove formalmente si tengono le elezioni ma queste anomale democrazie senza alternanza (e con grande manipolazione del consenso), nuocciono alle persone».

 «Per ottenere un terzo mandato i leader africani non esitano ad effettuare un arretramento del rispetto dei diritti umani, anche molto violento», dice il giornalista.

La democrazia invece, aggiunge si basa su altri presupposti.

«Inizia dall’inclusione, dall’assicurare a tutti i popoli il soddisfacimento dei loro bisogni fondamentali, i basic needs: accesso alla scuola, ambiente pulito e sano, una sanità di base che funzione ed altri diritti sociali».

Le élite africane anziché prendere sul serio le aspirazioni sociali delle masse negli ultimi dieci anni «hanno fatto una operazione di mimetismo istituzionale».

Oggi, in Africa Subsahariana ma anche in Nord Africa e nel Medio Oriente non ancora pacificato, ci troviamo in una impasse, per la quale i popoli vorrebbero non più regimi ma democrazie vere, e i regimi insistono a voler preservare sé stessi.

L’Occidente non prende seriamente in considerazione le richieste d’aiuto dei popoli oppressi, poiché rimane legato a modalità coloniali.

«Con le élite africane che fanno da intermediari d’affari tra i loro territori e il resto del mondo».

I popoli sono doppiamente soli: «lo sono rispetto ai meccanismi ingiusti dell’economia mondiale, e anche di fronte alla propria élite, avendo essa optato essenzialmente per un ruolo di intermediario d’affari».

Jean Leonard Touadi cita leader carismatici importanti come Nyerere in Tanzania e Sankara in Burkina Faso (che diceva «consumiamo quello che produciamo») e Karkabal in Guinea Bissau.

«Io non credo che questi grandi uomini del passato – dice – peraltro da noi europei eliminati, siano stati solo “iconizzati” in Africa tanto da restare dei simboli sulla carta, no!

Essi sono vivi e guidano il cammino attuale di tanti, dando vigore ai movimenti contemporanei come Lucha in Congo. Queste persone stanno solo cercando di rialzare la testa».

(Questa intervista apre il dossier ‘dalle piazze la sfida alla Storia’, pubblicato sul numero di dicembre di Popoli e Missione).