L’emergenza sfollati al campo profughi di Malakal, in Sud Sudan, non accenna a diminuire, tutt’altro.
«Ci sono oltre 1200 persone in arrivo, e in attesa di un piatto da mangiare in questi giorni», ci conferma al telefono da Malakal, suor Elena Balatti, missionaria comboniana e responsabile Caritas della regione.
Prima la guerra civile in Sud Sudan, poi gli effetti nefasti delle inondazioni del Nilo; e infine la guerra tra generali rivali in Sudan, hanno trasformato il campo profughi di Malakal, da luogo delle emergenze temporanee a rifugio permanente per sfollati che qui trovano un po’ di cibo, accoglienza e pace prima di attraversare altri confini.
«Al momento sono soprattutto persone che fuggono dalla guerra in Sudan, per lo più in transito. Passano da noi per andare altrove, sperando in un futuro migliore – spiega suor Balatti – Ma di fatto qui per noi l’emergenza è senza sosta, non è mai cessata dal 2023: inizialmente erano sfollati interni che fuggivano dai villaggi alluvionati dell’Upper Nile, dunque vittime dei cambiamenti climatici».
Suor Elena precisa che il tempo che ha a disposizione non è moltissimo: mentre parliamo ci sono centinaia di persone in fila che attendono un pasto e un piccolo aiuto.
«Non potete vederlo con i vostri occhi ma vi assicuro che il da fare è tanto e noi siamo pochi», dice.
Gli operatori della Caritas che si occupano degli sfollati sono appena cinque e suor Balatti è uno di loro.
Anche il Programma Alimentare Mondiale offre una ricevuta o del denaro per acquistare del cibo per una settimana: pochi giorni è il lasso di tempo massimo che l’emergenza assistita garantisce, dopodiché i rifugiati e gli sfollati devono cavarsela in autonomia o far affidamento sull’aiuto della Chiesa.
«Noi possiamo realizzare tutto questo solo grazie all’aiuto generoso in denaro, di chi contribuisce da lontano – precisa la missionaria – Tra i benefattori ci sono Caritas Austria, la Ong Misereor e Il Centro Missionario diocesano di Trento».
Renk è un villaggio del Sudan ad appena 10 km dal confine con il Sud Sudan e da lì arrivano ogni giorni centinaia di persone in fuga dalla guerra (oramai diventata una carneficina e un caos di piccoli gruppi ribelli), tra il generale Abdel Fattah al-Burhan e il suo ex alleato, il generale Dagalo, comandante delle Rapid Support Forces.
Sono moltissime le storie che si ascoltano a Malakal, come quella di Lina Juna, 27 anni e 4 figli, in fuga da Khartoum (la capitale fantasma del Sudan) e diretta a Juba.
«Non ho nessuno a Juba, nè famiglia nè amici e neanche lavoro- racconta la ragazza ad Al Jazeera – tuttavia mi aspetto che Juba sia un posto migliore dove stare che non Khartoum», dove non c’è più cibo e i combattimenti hanno lasciato dietro di sè solo distruzione e morte.
«E’ stata una decisione molto dolorosa per gli abitanti di Khartoum quella di spostarsi – ci spiega suor Balatti – molti erano rimasti anche solo per non lasciare le loro cose e soprattutto la casa, ma poi sono stati obbligati ad andarsene».
D’altra parte il futuro del Sudan è ancora fosco: «Al momento non c’è alcuna prospettiva di negoziato – conferma la missionaria – c’era stato un tentativo di mediazione a Ginevra, ma sembra fallito».
(Le foto sono concesse da Caritas Sudan).