Nella zona Est della Guinea Bissau la coltivazione tradizionale della terra non offre molte prospettive. Ecco perché è importante una nuova cultura della produzione agricola.
A Bafatà il sogno di emigrare è diffusissimo tra i giovani, come spiega don Lucio Brentegani, 53 anni, fidei donum della diocesi di Verona.
«Fin da bambini sognano di partire, crescono sognando di andare fuori per poter sostenere la famiglia. Ci sono interi villaggi quasi interamente sostenuti dai soldi che vengono dall’estero.
Andare a cercare lavoro altrove diventa uno scopo di vita», dice.
Nella zona ci sono famiglie che vendono grandi piantagioni di anacardi per pagare i viaggi (per la maggior parte illegali), chi parte deve affrontare spese enormi: dai cinque ai 10mila euro almeno per cominciare il viaggio che comporta rischi enormi.
Realtà che don Lucio conosce benissimo, dato che è qui da 16 anni e che il suo impegno pastorale di amministratore diocesano dal marzo 2020, dopo la morte del vescovo dom Pedro Zilli, lo vede particolarmente impegnato sul fronte della formazione dei giovani che in Guinea Bissau sono davvero tanti.
È un fatto che il 50% della popolazione abbia meno di 25 anni.
La terra qui è molto fertile ma la situazione politica instabile, la mancanza di fabbriche e infrastrutture non danno prospettive di futuro ai giovani che preferiscono emigrare piuttosto che vivere di lavori precari.
Racconta don Lucio: «Qualche anno fa in uno dei tanti naufragi nel Mediterraneo, c’erano anche cinque giovani di un villaggio della zona dove andiamo a celebrare la messa.
Loro non venivano in chiesa perché erano musulmani ma erano partiti insieme e avevano fatto il viaggio dalla Guinea Bissau al Senegal, poi fino alla Mauritania, di li, ancora in Libia dove si erano imbarcati per l’Europa.
Ogni volta che varcavano una frontiera dovevano pagare 2/3000 euro, quando sono saliti sul barcone che ha fatto la traversata ne hanno pagato 5/6000, con tutti i rischi e le sofferenze di questo passaggio.
Immaginiamo lo strazio di tutto il villaggio quando è arrivata la notizia che erano morti insieme: fratelli, cugini, tutti giovanissimi e della stessa famiglia.
Dopo qualche giorno però, uno di loro è riuscito a telefonare raccontando che si era salvato a stento grazie ai soccorsi ma che gli altri erano morti in mare».
Non tutti hanno i soldi per partire per mancanza di risorse economiche e contatti: sono ragazzi che cercano di investire in formazione con quello che c’è sul territorio o in piccole attività commerciali, negozi, affari, compravendite.
«Quelli che rimangono e cercano di fare qualcosa, lo fanno come ripiego. La produzione agricola c’è ma è una parte minima delle risorse economiche della Guinea Bissau – spiega don Lucio -.
Molti materiali vengono dall’estero, soprattutto da Mauritania, Guinea Konakri, Nigeria e questo fa diventare il Paese ancora di più dipendente dall’estero.
Dare a questi giovani l’opportunità di essere liberi di restare a casa loro non è facile, è una sfida. Per loro la dimensione agricola, con quasi zero meccanizzazione, scarse possibilità di guadagno, non è attraente.
Per questo facciamo corsi di formazione professionale, però manca l’università di agronomia, i tecnici del Ministero dell’agricoltura sono tutti vecchi, hanno ricevuto la formazione tra Cuba e Russia nei lontani anni Settanta.
L’ambito agricolo si basa sulle piantagioni di anacardo, ma in questo momento il governo ha fissato il suo prezzo a 365 franchi al chilo (prezzo bassissimo), mentre i commercianti stanno comprando a 200 franchi e quindi praticamente il mercato si è bloccato.
Le famiglie non riescono a vendere il raccolto, i commercianti insistono a comprarlo al prezzo che vogliono, il governo non fa niente perché i commercianti sono al governo e la questione diventa politica.
Un sacco di riso è passato da 17mila franchi a 25mila e quindi la gente compra meno, mangia meno.
Se non si fa una buona politica le famiglie finiranno alla fame perché il valore dell’anacardo è tre volte superiore a quello del riso ma ora gli scambi sono a svantaggio dei guineani, con grande guadagno dei commercianti. Le famiglie ci rimettono sempre».
Proprio sulla formazione si gioca l’impegno pastorale di don Lucio che ha seguito e segue da vicino alcuni progetti di una scuola agricola per creare occasioni di lavoro e preparare una produzione non sia solo di sussistenza.
«Abbiamo realizzato un progetto dell’Unione europea che sta andando avanti con fondi propri per diffondere una nuova attenzione alla coltivazione della terra.
Abbiamo fatto un progetto con l’8×1000 nel periodo in cui la Cei aveva lanciato la campagna “Liberi di partire, liberi di restare”.
Poi ci sono i corsi con una parte agricola, una formativa, una di commercio, una amministrativa, un corso di lingua, informatica, apicoltura e piantagioni di frutteti.
Tutto per fare formazione ed evitare che i giovani prendano la via dell’emigrazione».