COVID-19 in Africa, aumenta il rischio e sale la paura

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Una “bomba ad orologeria“, così gli scienziati descrivono il rischio Coronavirus sul continente africano. Anche se per il momento al riparo dall’intensità virulenta dei contagi registrati nel resto del mondo (quasi 170mila), l’Africa è particolarmente vulnerabile agli effetti di una pandemia di questa portata.

Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), etiope, ha dichiarato che la “maggiore preoccupazione” è per quei Paesi il cui sistema sanitario risulta già notevolmente “compromesso o sovraccaricato” da altre emergenze.

I Paesi africani contagiati sono al momento 26, ma potrebbero aumentare nelle prossime ore. Il numero delle persone trovate positive al COVID-19 in ciascun Paese è ancora circoscritto, soprattutto nell’Africa Subshariana. Ma il punto è capire quanto il COVID-19 stia circolando veicolato dagli asintomatici e quanti casi non siano ancora stati diagnosticati.

Per ora, in prima linea ci sono l’Egitto, con 126 casi dichiarati, e il Sudafrica con 61, seguiti da Algeria (38) e Marocco (con 28 persone positive).

In Senegal il numero è di 24 persone trovate positive al virus e in Tunisia di 20. Gli ultimi tre Paesi che si sono uniti alla lista di quelli contagiati sono Ruanda, Guinea Equatoriale e Namibia.

I dati, aggiornati in tempo reale, vengono dal portale del Center for Systems Science and Engineering della Johns Hopkins University. La mappa mondiale mostra una decisiva concentrazione di “bolle” nell’area asiatica, europea e mediorientale, con i primi tre Paesi in cima alla lista, Cina (81.020), Italia (24.747) e Iran (13.938).

L’allerta è davvero alta sia in Sudafrica (che ha maggiori scambi con l’Occidente) che nel Burkina Faso, dove i casi sono sette.

In quest’ultimo Paese, alla paura del virus si somma quella della mancanza di strutture adeguate, conseguenze di anni e anni di scontri armati e violenze ad opera di gruppi ribelli collegati ad Al Qaeda e all’Isis (2mila i morti solo lo scorso anno).

La Croce Rossa Internazionale si dice preoccupata per le sorti del Burkina Faso e al sito di AlJazeera Laurent Saugy, a capo dell’International Committee of the Red Cross ha dichiarato che: “In Burkina Faso il conflitto ha severamente compromesso le infrastrutture sanitarie”.

Una parziale buona notizia viene invece dalla Nigeria, dove il 27 febbraio scorso era stato trovato positivo al virus un uomo provenite dall’Italia. Sembra che per il momento il numero di nuovi contagi si sia azzerato.

Questo è uno dei Paesi maggiormente a rischio, per via della sovrapposizione di violenze pregresse e mai sopite, ad opera di gruppi di matrice jihadista, emanazione di Boko Haram, e dell’eventuale diffondersi del morbo COVID.

“La notizia del primo caso di Coronavirus in Nigeria ci ha sorpreso – ci aveva raccontato al telefono qualche giorno fa una fonte missionaria in Nigeria, legata ai salesiani – La gente non pensava che sarebbe arrivato così presto da noi. Sappiamo che la persona arrivata già ammalata è stata soccorsa ed è in quarantena. Per il resto le persone cercano di non entrare nel panico e di mantenere la calma“.

Chikwe Ihekweazu, infettivologo dello University College London, intervistato da The Conversation, ha spiegato che in Nigeria il Centro per il controllo delle Malattie infettive ha messo  a punto un gruppo di allerta sul coronavirus, composto da membri del ministero della Salute della Nigeria ed altri partner.  

“Si incontrano ogni giorno per monitorare la situazione e valutare I rischi”.

In diversi Paesi africani come la Repubblica Democratica del Congo, già colpita dalle pandemia di Ebola, l’esperienza relativa al modo di affrontare quest’emergenza durata anni, e anche le strutture ospedaliere messe in campo per combattere il virus letale, costituiscono un ottimo precedente la cui procedura sanitaria potrebbe essere replicata altrove.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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