Mentre i capi di Stato e di governo sono riuniti alla Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici- la COP27 nell’Egitto del dittatore Al Sisi – in Africa Orientale si consuma un doppio paradosso.
E’ il dramma di interi Paesi rimasti senza più acqua per via della siccità, ma il cui petrolio presto scorrerà sotto terra (prelevato dal giacimento di Hoima in Uganda), trasportato da un capo all’altro dell’Africa orientale tramite l’oleodotto interrato più lungo al mondo, per prendere infine la via cinese.
Parliamo di Uganda e Tanzania e del più grande progetto petrolifero mai ideato negli ultimi anni: l’Eacop, East African Crude Oil Pipeline.
L’investimento è della francese TotalEnergies (impegnata al 64%) e della Cnooc cinese, con la partecipazione minoritaria dei due governi africani.
A parlarne, oramai da mesi, è la stampa internazionale dal Guardian alla BBC, ma sono soprattutto gli attivisti Stop-Eacop, il Movimento Fridays for Future, il WWF, nonchè il Movimento Laudato Sì e Papa Francesco. Che a marzo scorso ha incontrato gli ambientalisti africani e li ha sostenuti.
«L’estrazione di petrolio in Uganda genererebbe fino a 34 milioni di tonnellate di emissioni di carbonio all’anno», avverte il Parlamento europeo nella risoluzione adottata il 14 settembre scorso.
E ancora: «Per limitare il riscaldamento globale a 1,5 °C in modo da prevenire gli effetti più distruttivi dei cambiamenti climatici, sarebbe necessario arrestare immediatamente lo sviluppo di nuovi progetti nel settore petrolifero e del gas».
«L’Eacop fa discutere poichè va contro ogni indicazione di disinvestimento dai combustibili fossili», commenta con noi l’attivista tanzaniano Baraka Machumu, consulente ambientale – ma anche perchè i vantaggi per le popolazioni locali e l’ambiente non ci sono. Tutt’altro».
L’oleodotto sarà lungo 1.443 chilometri, la temperatura del greggio supererà i 50° e pomperà 216mila barili di petrolio al giorno tra Uganda e Tanzania, partendo da Hoima, nei pressi del lago Alberto (il settimo più grande d’Africa) per approdare nella baia incontaminata di Chongoleani, porto di Tanga sull’Oceano indiano.
Dal sito dell’Eacop si apprende che la quasi totalità di questo petrolio sarà diretto in Cina.
Il percorso si snoda attraverso paradisi incontaminati di laghi e foreste, passando per il parco delle cascate di Murchison in Uganda, e attraversando centinaia di chilometri di savana abitata da popolazioni Masai e Akie.
E proprio in questi villaggi nelle ultime settimane e in concomitanza con la Cop27, si sta consumando il dramma della mancanza totale di pioggia e dunque della scarsità drammatica d’acqua.
«Non abbiamo più di che vivere e non sappiamo come abbeverare le nostre mucche: scaviamo pozze sotto terra per cercare l’acqua ma ne troviamo poca e quella poca è anche salata», ci raccontano al telefono da Kwamadule, a diversi chilometri da Handeni, Samuel e Kim Barnaba, due giovani Masai coinvolti dal passaggio dell’oleodotto.
«Gli operatori dell’Eacop sono tornati anche di recente qui da noi, devono far passare da qui l’oleodotto», dicono i Masai. Ma le compensazioni per la comunità locale praticamente non esistono.
Samuel ci invia foto e video che mostrano gli abitanti intenti a scavare nella terra dura per cercare l’acqua.
Il paradosso sta tutto qui: questo villaggio africano, così come decine di altri attraversati dalla pipeline (che sulla carta ha tracciato il proprio percorso e non intende arretrare) sono poverissimi, privi di acqua e di mezzi agricoli e soprattutto abitati da migliaia di persone che perderanno la casa, perchè sfrattate.
«Il futuro del pianeta è nelle nostre mani! – ci dice anche suor Fokas Mjema, della Congregazione di Nostra Signora di Usambara, direttrice della scuola secondaria Saint Catherine di Lushoto, nelle foreste della Tanzania – Vogliamo vivere in armonia, preservare la natura partendo dalla Laudato Sii».
Altra voce missionaria critica nei confronti del progetto petrolifero è quella di padre Riccardo Maria Riccioni, dei Piccoli fratelli d’Africa di Morogoro.
Il missionario che abbiamo incontrato in un viaggio recente sulle tracce della pipeline ci dice: «progetti come questo, a mio avviso, non favoriscono lo sviluppo perchè il lavoro che garantiscono è di scarsa qualità e a tempo. Servono investimenti in istruzione e sanità!».
(Le foto interne al pezzo sono state scattate da Ilaria De Bonis, quella di apertura è di Kim Barnaba)