“Confusione e paura” in India, il racconto della quarantena dei Focolarini

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Tanta confusione e paura regnano tra la gente in tutto il sub-continente indiano, in questi giorni di lockdown e quarantena, seguita al diffondersi del Coronavirus. In India finora si registrano 2.567 casi di contagio e 72 decessi.

A parlarne, in una mail giunta alla nostra redazione da Bengalore, in India, è la comunità locale dei Focolarini.

«Le informazioni ufficiali riguardo alla situazione del Coronavirus qui sono confuse e discordanti – si legge – Quel che è certo è che siamo chiusi dentro, senza potere circolare nè uscire di casa dal 25 marzo scorso, e la durata prevista è per ora di 21 giorni. E’ notizia di poco fa che anche in un piccolo villaggio ai piedi dell’Himalaya, Kalimpong, è stato scoperto un primo caso di Covid 19, il che fa presagire che il virus stia purtroppo arrivando anche nelle zone rurali».

Per quanto riguarda le provviste alimentari, scrivono i rappresentanti della comunità dei Focolarini, «anche nelle città non si sa bene se i negozi rimarranno aperti o meno. Tutto viene garantito, dice il governo, ma non sempre è chiaro cosa».

La sera del 19 marzo il primo ministro indiano, Narendra Modi, «ha annunciato che la domenica successiva l’India si sarebbe bloccata per un giorno. Era una “prova” generale, che avrebbe portato poi l’intero Paese ad essere chiuso in quarantena – spiegano – . Ma già dopo il primo annuncio, molti lavoratori hanno iniziato a ritornare nei loro villaggi di origine, pur di non rimanere bloccati in città senza lavoro, col rischio di morire di fame o non avere una casa».

In India si è così scatenato un panico globale, con la gente che fuggiva di corsa dalle città per tornare nei villaggi. A quel punto i treni in poche ore «sono stati fermati, le frontiere interne sono state chiuse e gli autobus bloccati, così come le autostrade. Ma in questo frangente nessuno ha pensato ad annunciare alla gente cosa fare».

«Molti di questi lavoratori a giornata, guadagnando 400-600 rupie al giorno (l’equivalente di 5-8 euro). Nei loro villaggi, in campagna, in qualche modo è possibile sopravvivere. Fra parenti, vicini, ci si aiuta, ma stando in città tutto diventa molto più difficile».

Per una comunità compatta come questa, la più grande difficoltà è non poter incontrarsi e celebrare insieme le festività religiose: «difficile per noi del Focolare – dicono –che viviamo per l’unità, non incontrarci con le persone. Qui sta iniziando il periodo estivo, aprile e maggio, dove fa più caldo e il desiderio di ritrovarsi all’aria aperta è molto più forte che in altri periodi. Si fanno di solito tante attività quando le scuole, a fine marzo, chiudono».

Sospese le attività ma anche le celebrazioni e le feste, «i ritiri per la Pasqua, gli incontri per i seminaristi, per i giovani, i campi-scuola per gli adolescenti. Tutto è saltato per ovvi motivi. Ma grazie alla tecnologia è venuta l’idea di pregare insieme. Quindi dal 25 marzo, tutte le sere ci colleghiamo con le nostre famiglie e preghiamo insieme il rosario».