MISSIONARI MARTIRI/ TESTIMONIANZE: Beatrice nella valle dei Mocheni

Il testimone raccolto da Beatrice Zott tiene aperto il varco di Agitu.

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«Lo schiaffo più ingiusto per me quest’anno è stata la perdita di una donna simbolo, Agitu; Più duro della pandemia. Vorrei tanto che fosse ancora viva, come molte altre donne del mio tempo».

Questo si legge sulla bacheca facebook di Beatrice Zott, la pastorella della valle dei Mocheni che ha ‘ereditato’ temporaneamente le capre di Agitu Ideo Gudeta.

Beatrice ha 19 anni, la sua famiglia vive da sempre in questo luogo di frontiera, favoleggiante e germanofono, conosciuto come Fersental, a venti chilometri dal capoluogo trentino.

Subito dopo l’atroce morte della pastora etiope hanno parlato di lei come della «custode del tesoro di Agitu» e in effetti Beatrice continua non solo a custodire le capre, ma a tenere aperto un varco.

Quel canale di bellezza creato da Aghi nel corso degli anni. «La sua morte improvvisa ci ha lasciati tutti con l’amaro in bocca – racconta Beatrice nel bel documentario della Fondazione Missio – A fatica si realizzava l’accaduto: il giorno dopo mi ha chiamata il sindaco e mi ha chiesto se ero disponibile ad accudire le capre; Ho detto sì, questa era già la mia passione, il mio sogno».

E così da dicembre dell’anno scorso ad oggi la Valle ha una nuova pastora e una nuova speranza. Ma il vuoto che si è creato è abbastanza incolmabile.

Nonostante tutto questo luogo è davvero incantato: si trova nel cuore della catena montuosa del Lagorai, tra l’Altopiano di Pinè e la Valsugana, fino a Palù del Fersina dove stanno le ultime case abitate.

«Agitu era arrivata nel 2016 in valle dei Mocheni – racconta Beatrice – quando l’abbiamo conosciuta non ci aspettavano di trovare una persona dell’Etiopia fare questo tipo di lavoro in valle. Poi col passare del tempo si è dimostrata molto socievole e in pochi mesi ha imparato anche il nostro dialetto. Ormai era una mezza mochena, diciamo…era una della valle!».

E se Beatrice ha raccolto una parte del testimone di Agitu difficilmente si potrà raccogliere anche quello sociale: «Agitu aveva allestito un salone a casa sua, dove organizzava serate molto belle, famigliari, anche se c’erano 50-60 persone. Tutti ci sentivamo parte di Aghi e del suo progetto», racconta Sandro Giovannini, anche lui allevatore della Valle.

Durate queste serate culturali si parlava di migrazione, si cercava di creare ponti di multiculturalità. Oltre che buona cucina.

«Una volta tre dei suoi amici – ricorda Sandro – si sono messi a fare una crema di zucca in un pentolone, che lei ha offerto a tutti col suo formaggio: era molto generosa Agitu e non chiedeva nulla in cambio».