Proponiamo il commento di padre Gianni Criveller, direttore del Pime, pubblicato sul sito di Asia News.
Pechino e Roma hanno annunciato ieri che l’Accordo provvisorio sulla nomina dei vescovi tra la Santa Sede e la Repubblica popolare cinese – firmato nel 2018, e rinnovato nel 2020 e 2022 – è stato prorogato per quattro anni.
La novità più significativa è l’estensione del numero degli anni: non più due ma quattro.
Si tratta di un compromesso: forse la Cina avrebbe preferito una conferma definitiva; forse la Santa Sede rinnovarlo per due anni.
L’accordo non è stato modificato né reso pubblico, nonostante il Vaticano avrebbe probabilmente preferito ‘migliorarlo’ e renderlo pubblico.
Si sa infatti che l’idea della Santa Sede è che l’accordo sia un punto di partenza e non di arrivo, e che apra la strada a miglioramenti e progressi.
E la ‘segretezza’ gioca, al contrario, a favore di rappresentazioni equivoche dell’accordo da parte di funzionari della politica religiosa: nel passato ce ne sono state, obbligando la Santa Sede alla nota ‘chiarificatrice’ circa la registrazione civile del clero del 28 giugno 2019.
E la necessità di un miglioramento dell’accordo, o di una sua chiarificazione, era palesata soprattutto dopo il grave incidente del 4 aprile 2023, quando il vescovo Shen Bin era stato trasferito a Shanghai senza il consenso del papa.
Anche in quel caso la Santa Sede era intervenuta con un comunicato inusualmente duro.
Negli ultimi mesi personalità della Santa Sede e lo stesso Francesco avevano espresso una certa fiducia: il dialogo era ripreso e stava dando qualche frutto positivo.
Ci sembra dunque che, dopo la grave crisi del 2023, la Cina abbia evitato di tirare la corda fino a spezzarla.
E che a questo possano riferirsi le parole del comunicato del 22 ottobre nelle quali si parla di “consensi raggiunti per una proficua applicazione”.