Dopo le catastrofiche inondazioni dei giorni scorsi in Ciad, il governo ha dichiarato lo “Stato d’emergenza” per fare fronte alle richieste di intervento che arrivano da oltre un milione di persone rimaste senza casa.
Le alluvioni anomale hanno colpito 636 località nel centro e nel sud del Paese, abbattendosi per giorni e giorni su villaggi e città di 18 delle 23 province.
La situazione «si fa sempre più preoccupante», ha dichiarato il presidente Mahamat Débyde nell’annunciare la misura.
Ma nonostante lo stato d’allerta gli interventi governativi sono del tutto insufficienti e la gente ancora non è stata soccorsa e vive senza più un tetto.
Il rischio è anche che l’emergenza climatica possa servire come alibi per inasprire ulteriormente la repressione del dissenso, tramite la militarizzazione del Paese.
L’esercito è infatti necessario per l’emergenza clima ma diventa un’arma a doppio taglio.
Il popolo è ancora sotto choc per l’uccisione di 60 manifestanti che erano tra le migliaia di persone scese in piazza lo scorso 20 ottobre per dire no al protrarsi dell’incerta transizione politica.
«C’è molta confusione anche nella capitale N’Djamena, dove viviamo noi – ci ha spiegato al telefono suor Paola Neloumta, Provinciale delle missionarie di Santa Giovanna Antida Thouret – migliaia di persone hanno perduto la casa e fiumi d’acqua sono dappertutto. Praticamente si galleggia».
Non è stato facile raggiungerla telefonicamente perchè nei giorni scorsi il governo aveva oscurato la rete internet per via delle proteste represse nel sangue.
La gente in questo momento è doppiamente ferita: da una parte le alluvioni, dall’altra la paura della polizia che spara e che reprime ogni segno di dissenso.
«Quel che è certo è che per gli alluvionati non c’è ancora un vero piano di aiuti e soccorso governativo», conferma la missionaria.
Anche la casa delle missionarie è stata inondata d’acqua; le suore si sono ritirate al piano superiore dell’edificio, poichè tutta la parte inferiore è fuori uso.
«E’ vero che il governo è stato occupato dalle proteste di piazza ma adesso dovrebbe intervenire – dice suor Paola – è la prima volta che vediamo delle inondazioni simili e questa è la più grave di sempre».
«La situazione a livello politico è tesa e drammatica – dice ancora la missionaria – il governo aveva vietato le manifestazioni: erano programmate ma le ha vietate. Le persone sono scese in strada malgrado i divieti. E ora continuano a morire anche in prigione.
La repressione è stata molto violenta e ha alimentato la collera della gente: tutto quello che sappiamo è che l’Unione Africana ha condannato queste violenze e ufficialmente i morti sono 60 ma si dice che in realtà siano molti di più».
Da oltre un anno il Paese non ha stabilità politica e non riesce a far valere il diritto di transizione verso una democrazia parlamentare.
Ad aprile del 2021 l’allora presidente Idriss Déby, 68 anni, al potere da oltre 30 anni, è stato ucciso durante una operazione militare per arginare l’avanzata di gruppi ribelli.
Il figlio trentasettenne, Mahamat Déby, ha preso il suo posto e continua tuttora ad occupare la poltrona di Capo di Stato.
«Abbiamo l’impressione che il gruppo che ha preso il potere, col figlio di Déby, succeduto al padre, stia tamponando la situazione come può, ma non si sta attenendo alla Costituzione. Questa non è una monarchia ereditaria, è una Repubblica», ci aveva detto lo scorso anno suor Paola.
Ma a distanza di un anno la Costituzione non è stata rispettata ancora e il popolo sceso in strada e barbaramente represso dall’esercito, chiedeva esattamente questo: di far valere il diritto alla democrazia.
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