Cambogia, una piccola Chiesa piena di vita

Facebooktwitterlinkedinmail

Padre Luca Bolelli, missionario del Pime da oltre 11 anni in un villaggio nel Nord della Cambogia, testimonia una «piccola Chiesa piena di vita». In questo Paese profondamente provato dal genocidio consumato dal dittatore Pol Pot, i giovani sono oggi protagonisti di una nuova pagina di Storia. Piena di speranza.

La Cambogia sopravvissuta al genocidio sta cambiando in fretta, secondo le leggi della globalizzazione che dallo spopolamento delle campagne portano all’urbanizzazione selvaggia delle città.

Basta vedere i grattacieli e le costruzioni avveniristiche di Phnom Penh, risorta dalle sue macerie dopo la fine del regime di Pol Pot (1975-9) e della guerra civile, oggi diventata una delle grandi capitali asiatiche con i suoi oltre due milioni di abitanti. Vent’anni fa i segni della distruzione del regime del sanguinario dittatore (all’epoca ancora vivo e fuggito nelle foreste del Nord del Paese) erano sui volti dei sopravvissuti come nelle facciate dei pochi edifici rimasti in piedi lungo le strade dissestate.

Immutato era rimasto soltanto il largo, maestoso passaggio del Mekong sotto i ponti perlopiù precari della capitale. L’intero territorio era cosparso di milioni di mine che hanno causato morti e mutilazioni anche per molti anni dopo la fine delle violenze.

Girata con fatica la pagina della Storia, la Cambogia di questi anni è uno dei Paesi più giovani al mondo, con l’età media della popolazione che si aggira intorno ai 22 anni.

Reduce dal genocidio del dittatore Pol Pot che, inseguendo l’utopia omicida di un comunismo radicale ha ucciso oltre due milioni di persone, la Cambogia ha subito la perdita d’identità di una delle culture del Sud-est asiatico. Basti dire che per essere arrestati dai Khmer Rossi, i soldati del dittatore, bastava portare gli occhiali e avere una professione liberale.

Avvocati, medici, artisti venivano catturati e fatti sparire nelle fosse comuni. Monumenti, templi, palazzi, tutto era stato distrutto. Persino le apsaras, le giovani “danzatrici celesti” della millenaria tradizione religiosa cambogiana che vivevano presso il Palazzo reale di Phnom Penh, erano state uccise o disperse perché nulla sopravvivesse del passato. Le ferite di un popolo ricco di cultura e di dignità sono diventate così profonde che c’era da temere che la Cambogia non sarebbe più tornata ad essere una terra con un futuro possibile.

Invece dallo sterminio è rinato un Paese che oggi guarda al futuro, come racconta padre Luca Bolelli del Pontificio Istituto Missioni Estere (Pime), 43 anni, da 11 missionario a Kdol Leu, un villaggio sulle rive del fiume Mekong, a circa 250 chilometri dalla capitale. In un incontro svoltosi presso la sede di Asianews, il missionario ha spiegato che «la Cambogia attraversa un momento critico, dal momento che sta passando dal millenario contesto rurale al mondo moderno.

Questo ha un grande impatto sulla popolazione, in particolare sui giovani. Alcuni giorni fa, una signora mi raccontava di aver vissuto come sua madre, che a sua volta aveva vissuto come sua nonna, e così via per generazioni. Il modo di vivere di sua figlia invece è completamente diverso. In atto vi è un cambiamento davvero epocale. Questo cambiamento crea paure ma anche tante aspettative».

Nella zona rurale di Kdol Leu padre Luca è parroco di una comunità di cristiani, una fetta della piccola Chiesa del Paese che su oltre 14 milioni di abitanti (in maggioranza buddhisti) conta circa duemila fedeli. «I cattolici sono un piccolo gregge molto giovane dove anche la Chiesa riflette la situazione di un Paese che sta risorgendo dalle sue ceneri. Da quando i conflitti sono finiti nel 1997, abbiamo avuto molte conversioni soprattutto tra i giovani khmer (etnia dominante, ndr) e non dai gruppi vietnamiti in maggioranza già cristiani. Cresciamo con piccoli numeri, ma cresciamo».

Padre Luca si considera un parroco di campagna e tra le tante attività, dedica molto tempo alla formazione dei bambini. Si sente a buon diritto «portavoce dei giovani, delle loro esigenze. Abbiamo due case dove si fanno attività con i bambini, si gioca con i più piccini, ai più grandi si insegna l’inglese per dare loro una chiave di volta per un futuro migliore». Ma padre Luca insegna soprattutto cosa vuol dire la solidarietà a partire da iniziative molto concrete, come la raccolta di aiuto ai coetanei della Siria martoriata dalla guerra.

Durante la Quaresima 2017, bambini della parrocchia di Kdol Leu hanno rinunciato per due settimane alle merendine (costo 500 riel, circa 15 centesimi di euro) per inviare attraverso Asianews la somma simbolica di 3,2 euro ai bambini in Siria.

Spiega ancora il missionario che dopo tanti anni di missione conosce dall’interno la mentalità e la cultura cambogiana: «La Chiesa è molto coinvolta nell’educazione dei giovani: si parla di scuole, legate ai salesiani o ad alcune realtà parrocchiali e missionarie; di centri per studenti che frequentano la scuola pubblica e poi tornano a casa; di gruppi giovanili, cosa che qui in Cambogia non esiste. I giovani non hanno un luogo dove potersi aggregare ed incontrare.

Questo non esiste nella realtà cambogiana, neanche nelle pagode. A casa, nelle famiglie vi è poca comunicazione tra genitori e figli e anche nelle scuole si privilegiano anzitutto i contenuti e non l’educazione. La possibilità che hanno nelle nostre parrocchie e missioni di aggregarsi come gruppi giovanili è incredibile e nuova. I giovani sono attratti dall’idea di potersi incontrare e parlare di ciò che hanno più a cuore».