«Una prima riflessione che viene spontanea, dopo questo viaggio (il recente viaggio apostolico in Asia ndr.) è che nel pensare alla Chiesa siamo ancora troppo eurocentrici, o, come si dice, “occidentali”.
Ma in realtà, la Chiesa è molto più grande, molto più grande di Roma e dell’Europa, molto più grande, e – mi permetto di dire – molto più viva, in quei Paesi.
L’ho sperimentato in maniera emozionante incontrando quelle Comunità, ascoltando le testimonianze di preti, suore, laici, specialmente catechisti – i catechisti sono coloro che portano avanti l’evangelizzazione –.
Chiese che non fanno proselitismo, ma che crescono per “attrazione”, come diceva saggiamente Benedetto XVI».
Queste le parole di papa Francesco, appena pronunciate stamani in udienza generale parlando del viaggio concluso da alcuni giorni in Indonesia, Papua Nuova Guinea, Timor Est e Singapore.
«Si chiama viaggio apostolico perché non è un viaggio di turismo – ha precisato il pontefice – è un viaggio per portare la Parola del Signore, per far conoscere il Signore, anche per conoscere l’anima dei popoli. E questo è molto bello».
Entrando nel dettaglio Francesco ha tenuto a sottolineare che la Chiesa, nei Paesi da lui visitati, non è nè chiusa nè asfittica, ma viva e in uscita, cioè missionaria.
In Indonesia «quella che ho incontrato è una Chiesa vivace, dinamica, capace di vivere e trasmettere il Vangelo in quel Paese che ha una cultura molto nobile, portata ad armonizzare le diversità, e nello stesso tempo conta la più numerosa presenza di musulmani al mondo».
E ancora, ha affermato: «la bellezza di una Chiesa missionaria, in uscita, l’ho ritrovata in Papua Nuova Guinea, arcipelago proteso verso l’immensità dell’Oceano Pacifico.
Là i diversi gruppi etnici parlano più di ottocento lingue: un ambiente ideale per lo Spirito Santo, che ama far risuonare il messaggio dell’Amore nella sin-fonia dei linguaggi.
Non è uniformità, quello che fa lo Spirito Santo, è sinfonia, è armonia, Lui è il “patrono”, è il capo dell’armonia.
Ma soprattutto io sono stato colpito dalla bellezza di quel popolo: un popolo provato ma gioioso, un popolo saggio nella sofferenza.
Un popolo che non solo genera tanti bambini –c’era un mare di bambini, tanti! –, ma insegna loro a sorridere.
Non dimenticherò mai il sorriso dei bambini di quella patria, di quella regione.
Sorridono sempre i bambini lì, e ce ne sono tanti. Insegna loro a sorridere, quel popolo, e questo è garanzia di futuro. Insomma, a Timor Orientale ho visto la giovinezza della Chiesa: famiglie, bambini, giovani, tanti seminaristi e aspiranti alla vita consacrata.
Vorrei dire, senza esagerare, ho respirato “aria di primavera”!».