La pandemia sta cambiando il volto del mondo e anche dell’America Latina che, con mezzo milione di morti, è il continente più colpito insieme all’Europa e agli Stati Uniti.
Nel 2020 il Prodotto interno lordo (Pil) della regione, secondo la Commissione economica per l’America latina dell’ONU (Cepal), scende del 9,1%, mentre il commercio regionale crolla addirittura del 23%.
Ma se questi sono i numeri globali dell’America Latina, come al solito ad essere più colpiti da questa “guerra” contro il virus sono le grandi masse di empobercidos.
A cominciare dai bambini che, a causa delle chiusure imposte in quasi tutti i Paesi, da marzo di quest’anno non possono neanche andare a scuola. L’Unicef stima che saranno addirittura 137 milioni i piccoli latinoamericani che perderanno l’anno a causa della pandemia.
Come conseguenza milioni di ragazzini delle classi elementari e superiori non avranno la possibilità di pranzare dal lunedì al sabato, perché la scuola per le famiglie dei poveri rappresenta molto spesso la sola opportunità per dare da mangiare ogni giorno ai propri figli.
Oltre all’istruzione e all’educazione, viene a mancare l’adeguato sostentamento nutrizionale necessario alla crescita dei piccoli alunni. Paula Rosas è di Buenos Aires, la capitale dell’Argentina. Di mestiere fa la maestra comunitaria ma guadagna una miseria, e ha quattro figli, tre maschi e una femmina. Per lei che vive a Villa Carcova, una delle favelas più misere della capitale «il lockdown è stata una tragedia, soprattutto per la chiusura delle mense scolastiche. Ma anche perché per noi poveri, se non si esce non si mangia», racconta preoccupata.
«Ci hanno tenuti chiusi per quasi un anno ripetendoci che stava arrivando il picco della curva dei contagi. Sono passati più di otto lunghissimi mesi, ma il picco alla fine non è mai arrivato», le fa eco Maria Covas, professione sarta, che si sfoga con Popoli e Missione e spiega perché da novembre scorso «le persone hanno cominciato a stancarsi, perdendo la paura del contagio, perché una cosa sono i dipendenti che possono lavorare da casa con internet, un’altra è per chi è precario e non mangia se non esce a fare una changa come si dice da noi, ovvero un lavoretto».
Sussidi insufficienti
Dai muratori ai pittori, dagli idraulici agli elettricisti, la lista dei latinoamericani ridotti alla miseria a causa del Covid19 è infinita, tutta gente che se di giorno non lavora “in nero”, la sera non porta nulla a casa e in famiglia nessuno si mangia. Negli ultimi mesi in Argentina la povertà è quasi raddoppiata anche a causa dell’inflazione, la seconda più alta del continente dopo il Venezuela. Per questo le donne con una famiglia sulle spalle come Paula e Maria finite nella miseria per il Covid19 sono sempre di più.
Una situazione tragica che ha costretto il governo del presidente Alberto Fernández ad erogare un sussidio d’emergenza per nove milioni di famiglie da marzo ad ottobre scorso, i mesi di lockdown più rigido.
Un aiuto indispensabile ma che indica come la situazione sia disastrosa nel Paese che dopo la Seconda guerra mondiale era considerato il granaio del mondo perché sfamava con i suoi cereali l’Europa che doveva risollevarsi dalle macerie post belliche.
Secondo l’Ibge, l’Istat argentino, in media una famiglia in Argentina è composta da 3,5 persone, e ciò significa circa 30 milioni di argentini su una popolazione totale di 45 milioni (il 66% del totale) hanno dovuto ricevere il sussidio statale durante il 2021 per non fare la fame.
Non va meglio in Colombia, dove alla pandemia che ha già fatto chiudere il 25% delle piccole e medie imprese (soprattutto ristoranti e piccoli commerci), si sono aggiunte le piogge torrenziali e le inondazioni, due calamità atmosferiche che negli ultimi anni si sono purtroppo ripetute sempre più frequentemente.
Intere regioni del Paese sono state sconquassate dall’uragano Iota, di categoria cinque, il livello più alto nella scala di intensità. Colpiti soprattutto i Caraibi colombiani, a metà novembre scorso. Sull’isola di Providencia sono state danneggiate il 98% delle infrastrutture, un vero disastro.
Ferita anche l’isola di San Andrés, tradizionale meta turistica che quest’anno oltre alla tragedia economica (il Covid ha azzerato il flusso sei turisti) ha patito anche la furia di Iota. La Colombia sta affrontando una stagione delle piogge senza precedenti, con oltre 40mila vittime delle devastazioni, un numero crescente di sfollati climatici interni e inondazioni che hanno martoriato il dipartimento di Chocó, il più povero del Paese.
La Conferenza episcopale colombiana (la Cec) ha espresso la sua «fraterna vicinanza a tutte le vittime», in particolare alle «comunità più colpite nel territorio delle Arcidiocesi di Cartagena e di Santa Fé de Antioquia, delle Diocesi di Quibdó e Istmina – Tadó oltre al vicariato apostolico di San Andrés e Provvidencia».
Il prezzo della carne alle stelle
In Brasile le follie populiste del presidente Jair Bolsonaro, sempre più in difficoltà per le grane giudiziarie che coinvolgono i suoi figli, hanno cominciato a farsi sentire sulla pelle dei più poveri, nonostante il “Paese del samba” non abbia imposto chiusure rigide come l’Argentina.
Il motivo è l’inflazione, soprattutto dei prodotti alimentari più consumati dal popolo delle favela. Ad ottobre il prezzo del riso è raddoppiato in appena un mese e anche quello della carne è schizzato in su di almeno il 25%.
A preoccupare è poi anche la politica del governo nei confronti degli indigeni che popolano l’Amazzonia, il polmone verde del mondo.
Approfittando della pandemia, infatti, «i criminali ambientali e tutti i tipi di sfruttatori illegali delle ricchezze naturali si sentono appoggiati dal discorso del governo e sono facilitati dai controlli statali blandi ad invadere e sfruttare sempre di più le terre indigene, anche dove vi è la presenza di popolazioni indigene isolate».
La denuncia è del Consiglio indigenista missionario (Cimi) che critica anche lo scarso impegno finanziario del Brasile per proteggere i popoli originari colpiti dalla pandemia – sono oltre 900 le vittime ufficiali da Covid19 tra le tribù amazzoniche – e le politiche repressive della polizia contro gli indios.
In Messico, grazie alla presidenza di Angel Miguel López Obrador, la sensibilità governativa verso i popoli originari è invece massima. Il Covid 19, tuttavia, ha fatto anche qui disastri sanitari, con oltre 100mila morti.
Nell’economia, la pandemia ha impattato con forza su settori strategici come il turismo, che qui ha già perso il 20% dei posti di lavoro, ma soprattutto facendo crescere la presenza dei cartelli della droga che, in molte regioni del Paese hanno sostituito lo Stato nella distribuzione di aiuti ai più poveri.
(Quest’articolo è stato pubblicato sul numero di gennaio di Popoli e Missione).