Addio a padre Silvano Berlanda, missionario in Uruguay

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Si è spento ieri padre Silvano Berlanda, instancabile animatore missionario, fondatore dell’esperienza del CUM di Verona, ancora sulla breccia nella “sua” missione in Uruguay. Di seguito riportiamo un ricordo che di lui fa don Crescenzio Moretti.

Nel giro di poche settimane,  il Signore si è portato a casa Fernando Pavanello,  don Pietro Canova, don Franco Marton, don Olivo Bolzon. Il Vangelo, da incarnare in una umanità in attesa, distratta, ma sempre amata, soprattutto negli ultimi, è stato l’ideale di tutti. Ora la chiamata è toccata a Don Silvano Berlanda, l’amico e maestro impareggiabile di vita e di missione.

Don Silvano Berlanda, nel 1950, aveva accolto l’invito di un vescovo dell’Uruguay  venuto a Bergamo in cerca di sacerdoti per la sua diocesi, anemica di personale apostolico. Don Silvano, ancora seminarista, raccolse con altri l’invito e partì per Montevideo dove terminò gli studi.  Nel 1953 fu ordinato sacerdote per l’Uruguay,  il  paese più “laico” di tutta l’America Latina.

Anche negli anni in cui fu chiamato in Italia a dirigere il CEIAL, l’organismo di cooperazione della Chiesa Italiana con le Chiese dell’America Latina, non trascurò la vicinanza alla Chiesa dell’Uruguay e furono svariati i suoi interventi in favore di vescovi e sacerdoti che accorrevano a lui.

Seguiva con interesse e competenza le Chiese latinoamericane, in quegli anni in gran in grande fermento ed ansiose di risorgere, ridestate dal Concilio Vaticano II, dalla Conferenza di Medellin  e da vescovi profetici come  Camara, Larrain, Brandao, Pironio.

In Italia, alla direzione del Centro Ecclesiale ItaIiano per l’America Latina, rimase una decina di anni, i più belli, i più fecondi della storia del Centro e del fervore missionario molto vivace, in quei tempi, in Italia.

Don Silvano ed io giungemmo a Verona, negli stessi giorni: lui dall’Uruguay,  io dalla Colombia, per integrarci nella equipe del CEIAL, lui come direttore, io come incaricato di un settore.  Allora l’equipe contava già con don Pietro Canova, don Olivo Dragoni, don Franco Marton e don Gianpiero Moret. Don Silvano ne fu un capo discreto ed autorevole e ne fece una squadra unita. Aveva cuore, idee, capacità organizzative: sapeva tenere unito il gruppo, sapeva inserire i nuovi collaboratori quando le partenze lasciavano un vuoto, sapeva parare i colpi quando, la vivacità dei giovani del MLAL e di qualche prete, creava problemi. Sapeva anche trovare i mezzi necessari per la sopravvivenza del CEIAL, in un tempo in cui il Centro non aveva ne padrini, ne tutori.

Impossibile raccontare l’intensa vita di quei 10 anni in cui, di persona. o con le sue direttive, don Silvano ha guidato l’intensa attività missionaria del Centro: i corsi di preparazione per i partenti, i corsi di aggiornamento per i missionari rientrati temporaneamente, i contatti coi vescovi italiani e latinoamericani, gli incontri in America Latina con i missionari presenti nei vari paesi, i seminari di studio per approfondire  le esperienze delle Chiese Latinoamericane e i temi della missione ( dialogo, scambio, lettura popolare della bibbia, religiosità popolare…), la partecipazione al Consiglio Misslonario Nazionale, l’organizzazione del CEDOR, gioiello dell’informazione sull’America Latina, NOTICUM il mensile di  collegamento coi missionari,…  Dieci anni intensi e gioiosi, in cui abbiamo goduto amicizia ed un vivace impegno missionario.

Per raccontare il don Silvano profondo, il suo spirito, le sue motivazioni, la sua originalità, non ho a mano che una bella intervista che lui diede, che trovo nell’inserto missionario mensile del settimanale diocesano di Bergamo “La Nostra Domenica”, quando, terminato  il  suo servizio al CEIAL, era tornato a fare il parroco in Uruguay ed a sviluppare con l’uso dei nuovi mezzi di comunicazione,  OBSUR un originale collegamento culturale e pastorale  tra l’ l’italia e l’Uruguy.

Nelle risposte di don Silvano mi sembra di sentire Papa Francesco: «Ogni mattina scendo ad aprire la porta della chiesa. Ecco io penso che la mia funzione sia quella di tener ben aperta quella porta (del tempio e della comunità), aperta nei due sensi: perché la comunità non vi si rinchiuda, perché da lì escano luce, forza, orientamento, impegno; perché da lì entrino preoccupazioni, problemi, realtà. Concretamente realizziamo varie iniziative a servizio della comunità, soprattutto nel campo dell’educazione, convinti della priorità di uno sforzo in questo settore”.

Più avanti, sempre in quella intervista offre il suo pensiero sull’impegno missionario: “La missione mi richiama l’immagine di una cattedrale in cui ci sono i marmi della bella facciata, il portale maestoso e anche le fondamenta. C’è chi ha la vocazione di essere il marmo della facciata che suscita ammirazione e dà gloria a Dio. C’è chi è chiamato a fare il sasso, nascosto tra le fondamenta. Nessuno sa che c’è, ma è lì, ed è importante che ci sia.

Ancora, nella stessa intervista, dice: Di tutti i missionari che sono sparsi nel mondo sono pochi quelli di cui si può parlare perché fanno cose “straordinarie” o perché sono dei martiri. La maggior parte è costituita dai “badilanti” della missione. Io mi colloco tra costoro, di cui forse è difficile parlare. Mi sento un prete che vive e condivide un’esperienza di Chiesa abbastanza simile alla  nostra, anche se molto più povera di mezzi, a partire dalla scarsità di personale apostolico. Questo giustifica l’andarci: semplicemente per essere uno in più.

Ho la speranza di essere stato un sasso che è servito a tener su la cattedrale. Ma, in questo momento, avverto anche il sentimento della gratuità, dell’ “inutilità”della missione……. E’ importante, quindi, non puntare troppo il dito su chi porta avanti questo lavoro, ma sul Signore. E’ lui il vero protagonista della missione”.

Spero che altri ricordino don Silvano, cristiano, missionario, maestro di vita,  amico, discreto compagno di viaggio.