Accordi Ue-Tunisia: “politiche spietate ed emergenziali”

Parlano un docente universitario ed un missionario in Kenya, commentando il senso del memorandum appena stipulato

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In Tunisia sta andando in scena la «politica della spietatezza».

All’interno degli accordi chiamati ‘comprehensive partnership package‘ (clicca sul nome), stipulati tra l’Unione europea, l’Italia e la presidenza tunisina, in team Europe spirit, come recita la formula, «non una parola è stata scritta sul rispetto dei diritti umani e sulla presenza di eventuali organizzazioni internazionali».

La logica prevalente è quella del «teneteli, non lasciateli partire, noi giriamo la faccia dall’altra parte se li manderete nel deserto, al confine con la Libia come avete già fatto».

E’ l’opinione di Maurizio Ambrosini, docente di sociologia dei processi migratori a Milano, intervistato oggi da Radio tre relativamente al memorandum appena stipulato a Tunisi.

L’accordo è composto da 5 pilastri, due dei quali fanno riferimento allo sviluppo economico della Tunisia, con aiuti mirati da parte dell’Ue, diretti al turismo e all’agricoltura.

In cambio però Kais Saied (il presidente despota che non più di due mesi fa ha mostrato il pugno di ferro con i migranti subsahariani), dovrà sostanzialmente garantire i respingimenti dei migranti che da Sfax vogliono lasciare la Tunisia diretti in Italia e in Europa.

Il professor Ambrosini ha fatto notare che lo sviluppo di un’economia fragile, andrebbe messo in correlazione con un altro aspetto, cui le ricerche scientifiche danno molto risalto:

«in una prima fase lo sviluppo di un Paese – argomenta il docente – favorisce le nuove partenze, non le ferma!

Perchè c’è più gente che ha i soldi per partire, o perchè le aspirazioni corrono più in fretta delle possibilità concrete e immediate di creare sviluppo in loco».

Pertanto pensare di fermare i migranti elargendo fondi al Paese di origine, fa parte di un «senso comune che non guarda per niente ai dati, alle ricerche e agli studi internazionali», dice Ambrosini.

E’ vero piuttosto il contrario, argomenta Ambrosini: un certo sviluppo, come anche la ritrovata libertà dopo le Primavere arabe e la rivoluzione che depose Ben Ali nel 2011, genera il desiderio o la necessità di partire.

«L’idea che se diamo loro un po’ di soldi e stanno un po’ meglio allora non partiranno» è del tutto infondata, secondo il docente.

Un secondo commento arriva dai missionari e più precisamente da fra Ettore Marangi, francescano in Kenya, Paese dell’Africa subsahariana dal quale partono anche gli immigrati diretti in Tunisia e poi da lì in Europa.

«Le politiche dell’Europa nei confronti della questione immigrazione rimangono di carattere emergenziale -avverte fra Marangi – continuano a guardare all’Africa come ad un problema, e  a sottostimare la questione dei diritti umani».

Ricorda fra Ettore che agli inizi di luglio di quest’anno «il governo tunisino ha abbandonato 1200 emigranti nel deserto;

si va dalle posizioni un po’ più attente dell’Unione Europea che, spinta dall’opinione pubblica formata dalle tante ONG, comincia a chiedere più garanzie, alle posizioni del governo britannico che stava tentando di finanziare una sorta di campi di concentramento in Rwanda».