Le sfide dell’Amazzonia sono una frontiera dell’ad gentes in cui i missionari sono vicini alle popolazioni locali e difendono i loro diritti, violati in nome degli interessi dei fazendeiros.
Don Lucio Nicoletto, fidei donum di Padova, è amministratore diocesano nella diocesi di Roraima, nell’Amazzonia brasiliana.
Le sfide che vive ogni giorno la sua Chiesa vanno dal disboscamento al garimpo, ovvero la ricerca di oro sui fiumi, dai diritti degli indigeni all’accoglienza dei migranti dal Venezuela.
Il tutto mettendo in pratica il documento di papa Francesco Querida Amazonìa.
Roraima è uno Stato di frontiera, e come tutte le zone di frontiera vive delle sfide, dovute anche alla lontananza dal centro del Brasile.
«Il cardinale Geraldo Agnelo, allora vescovo di Salvador Bahia nonché presidente della Cnbb (la conferenza dei vescovi brasiliani, ndr) – dice don Nicoletto – una volta si lasciò sfuggire una battuta dicendo che Roraima era come il Far west!
E’ una terra dove ci sono le leggi ma nessuno le rispetta.
Fino agli anni Ottanta c’erano foreste e fiumi, al governo c’era un commissario inviato dal governo federale di Brasilia.
Ora è uno degli Stati federali del Brasile, ma non molto è cambiato: ci sono poche famiglie che controllano tutto, sfide sociali enormi, tra queste la mentalità “produttivista” di chi che viene dal Sud del Brasile in cerca di terre da coltivare che si scontra con la cultura indigena di preservazione della foresta, la casa comune.
«Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento i monaci benedettini presenti in Roraima lavoravano con gli
indigeni e i piccoli coltivatori, mostrando che il gioco dei grandi fazendeiros (proprietari terrieri) che arrivavano da tutto il Brasile e che acquistavano le loro terre o semplicemente le occupavano per lavorarle, portava soltanto a nuove schiavitù.
I benedettini hanno svolto un’opera sociale imponente in difesa dei diritti fondamentali. Grazie anche ai monaci si è arrivati alla determinazione delle terre indigene, l’unico baluardo contro il dilagare del latifondismo.
Quella tradizione è stata raccolta più tardi dai padri della Consolata che continuano oggi la difesa di tutte le popolazioni marginalizzate in queste terre.
«Dai grandi coltivatori che hanno bisogno di terre da coltivare e dai garimpeiros, ovvero i cercatori di oro, che setacciano i fiumi (che non sono loro) per estrarre l’oro, utilizzando il mercurio che inquina e fa morire i pesci, elemento base nella catena alimentare degli indigeni. Come si diceva, le leggi ci sono, ma chi le fa rispettare?».
Come fanno i grandi proprietari ad avere i titoli per possedere la terra?
«In Amazzonia è un problema enorme. Bisogna pensare alle dimensioni dell’area, grande come l‘Europa, il senso di isolamento si tocca con mano.
Ad esempio: la legge dice che quella terra è di una popolazione indigena, magari 20mila indigeni su un territorio vasto come due provincie italiane.
Nel frattempo un gruppo di fazendeiros mette gli occhi su una porzione di quella terra, “compra” i certificati di proprietà, ovvero li ottiene in maniera spesso illecita, complici apparati corrotti dell’amministrazione dello Stato.
La occupa, disbosca, lucra sul legname tagliato e poi sull’allevamento o sulla produzione di soia. Nel frattempo la comunità indigena denuncia l’occupazione, ma chi dice che è occupazione se i proprietari sventolano certificati che ne comprovano la proprietà con tanto di timbri dello stato? Questo genera grandi conflitti oggi in Amazzonia».
Roraima confina a Nord con il Venezuela e sappiamo la terribile crisi umanitaria che questo paese sta attraversando.
«La chiesa cattolica assieme al governo e all’esercito ha fatto un grande lavoro. E non siamo mai rimasti soli: Conferenza Episcopale Italiana, conferenza Episcopale Brasiliana, Caritas Internazionale e altre agenzie hanno dato una grossa mano».
Oggi i flussi sono diminuiti, sono 200 gli arrivi al giorno e lo sforzo per dare sollievo a tutti continua incessantemente.
Ricordo che non arrivano solo rifugiati dal Venezuela ma anche da Haiti, che pure da anni vive una situazione sociale drammatica».
Tutto questo cercando di attuare Querida Amazonìa, il documento post sinodale del Sinodo per l’Amazzonia.
«Subito dopo il Sinodo è arrivato il Covid che ha creato grande difficoltà di attuazione dei nostri sogni che papa Francesco ha dato voce.
Le idee di Querida Amazzonia vengono da lontano: in Brasile abbiamo da poco celebrato il 50esimo anniversario del documento di Santarem del 1972, dove la Chiesa in Amazzonia si impegnava a fare decisi passi nella valorizzazione delle culture nelle quali si inseriva.
È solo una fede incarnata che libera la vita delle persone, trasformando le relazioni. Ingiustizia, violenza, oppressione e morte, che sono la realtà oggi in Amazzonia, sono segno di una umanità che non ha ancora incontrato Cristo.