Suor Angel Bipendu, faccia a faccia col virus

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Come una tempesta improvvisa, il Covid-19 è arrivato nella Val Brembana e con le sue violente ondate ha travolto tante vite umane. «In un paio di giorni è scoppiato l’inferno – racconta suor Angel Bipendu, congolese, 46 anni, medico in servizio presso l’Ats di Bergamo -: gli ospedali erano pieni, molti medici erano rimasti contagiati, ogni giorno per le strade di Zogno passavano 50, 60 ambulanze, le sirene suonavano continuamente notte e giorno». Nell’emergenza suor Angel ha capito che non bastava restare nell’ambulatorio di Villa d’Almè presso cui è in servizio da due anni ma bisognava fare di più. «Sono andata in cappella e sono rimasta a lungo inginocchiata, ho pregato. Ho detto: “Signore, la gente sta morendo, non c’è più posto negli ospedali, tanti medici sono in quarantena e non possono curare i malati. Siamo in una situazione inimmaginabile. Dimmi tu cosa devo fare”». La risposta non si fa attendere e aderisce volontariamente all’Unità speciale di continuità assistenziale creata per l’occasione dall’Agenzia per la tutela della salute di Bergamo, la task force di medici addetti alle visite a domicilio dei pazienti Covid in isolamento.

Angel, che appartiene alla congregazione delle Discepole del Redentore di Agrigento, vive presso le suore Canossiane di Almè e sa bene che la scelta di andare a combattere il virus in prima linea può esporre a rischi enormi la comunità delle religiose, molte delle quali anziane. Si interroga insieme a madre Maria Vezzoli: «Angel, la tua missione è fare le cose più difficili, ma dobbiamo proteggere le altre. Tutte preghiamo per te, rappresenti tutte noi consacrate. Tutte abbiamo voglia di fare quello che stai facendo tu, ma non possiamo. Nelle tue mani ci sono le nostre che lavorano con te».

Suor Angel non può lasciare l’impegno in prima linea, decide di autoisolarsi e si trasferisce nella foresteria di un convento di clausura di francescane del Terz’Ordine. Lavora a ritmi massacranti, a pranzo appena il tempo di mangiare qualcosa in macchina e poi di nuovo via, da altri pazienti. E’ sola con se stessa, con i medici e i pazienti. Racconta: «Dio mi ha dato la forza, non mi sono ammalata, non ho avuto né tosse, né altri sintomi, ho seguito gli ammalati registrati su un data base grazie al quale c’è l’anamnesi e la terapia da seguire. I pazienti ci aspettavano preoccupati…(continuate a leggere su Popoli e Missione di giugno).