Bolivia, mons. Coter: “non è un colpo di Stato”

Facebooktwitterlinkedinmail

Quel che si sta consumando in Bolivia «non è un colpo di Stato contro il presidente Evo Morales», quanto piuttosto una crisi politica e «morale», iniziata con una frode elettorale a vantaggio del presidente e del suo partito (Il Movimento per il Socialismo ndr.), e proseguita con le sue dimissioni.

A spiegarlo in questa intervista telefonica con Missio è monsignor Eugenio Coter, vicario apostolico di Pando e vescovo titolare di Tibiuca, in Bolivia.

«Il vero nemico della Bolivia è Evo Morales stesso», confida monsignor Coter, chiedendo di divulgare il più possibile una contro-informazione mediatica rispetto alla versione dominante che parla di «Colpo di Stato e di razzismo nei confronti di Morales».

Monsignor Coter ci racconta nei dettagli una situazione esplosiva, dagli esiti ancora molto incerti, con protagonisti da una parte il presidente dimissionario Evo Morales e dall’altra un popolo intero (la quasi totalità, assicura il vescovo), stanco di soprusi e di frodi.

Non è così, spiega Coter: «il discorso del razzismo è stato cavalcato dallo stesso Morales ma è totalmente fuori della realtà. A forza di cavalcare questa argomentazione e di usare il Partito per controllare lo Stato, Evo Morales ha rotto l’istituzionalità e fatto saltare la relazione di fiducia col popolo».

Ma come si è arrivati alle dimissioni?

Subito dopo i primi scrutini di voto, ricorda il vescovo, è stato chiaro che si erano verificati brogli elettorali: da subito ci sono stati «segni evidenti di frode elettorale – spiega Coter –  Al punto che la gente ha cominciato a contestare il voto e a scendere in strada contro il tribunale elettorale che è controllato dal governo e nel fine settimana aveva dichiarato Evo Morales vincitore».

In realtà tutti i documenti evidenziavano prove di frode tanto, che «non era più possibile nasconderlo: i partiti avevano fotografato e inviato gli atti che risultavano in alcuni seggi dove addirittura aveva votato il 105% degli aventi diritto».

Di fronte a questa situazione il presidente all’inizio ha mandato forze dell’ordine del partito a reprimere chi stava bloccando le strade, mentre la polizia seguiva.

«Ma la polizia – spiega il vescovo – ad un certo punto si è ammutinata di fronte a questo utilizzo evidente dell’uso politico delle strutture statali. La polizia si è chiusa nelle caserme, stanca di essere usata».

C’è stato uno schierarsi delle forze dell’ordine a fianco della popolazione.

Il vescovo spiega anche che «non c’è dubbio che Morales abbia dato una dignità ai poveri, nel primissimo periodo del suo mandato, ma solo a certi gruppi come i Chechua, non certo agli amazzonici. Dopo il 2010, però, tutto è cambiato e si è delineato una doppia morale e forti contraddizioni. Il discorso che Evo ha tenuto in queste ore di dimissioni manca totalmente di lucidità».

Monsignor Coter dice che attualmente il popolo non è con Morales: «per quanto conosco la situazione so che sono meno di 300mila che lo sostengono, di cui una metà nel Chapare nella zona dei cocalero, da cui proviene Morales e 150 mila nel resto del paese».

Dopo anni di controllo assoluto del partito su tutto si è arrivati ad «una inaccettabilità della situazione con una forte presa di coscienza da parte della popolazione».

A proposito dell’ipotesi di guerra civile, il vescovo spiega che a suo avviso «non si delinea una guerra civile perché la Bolivia non ha voglia di una guerra civile, richiederebbe una divisione della popolazione di almeno ilo 50%. Piuttosto sembra una insurrezione armata di un gruppo».

Cosa accadrà adesso nel Paese?

«Bisogna trovare la strada della successione democratica – spiega Coter – A questo stanno lavorando i partiti di opposizione, il governo che entra ha 90 giorni di tempo per portare il Paese a nuove elezioni, nel frattempo possiamo solo sperare in un governo di tecnici».