Hong Kong, Chiese cristiane pregano per soluzione pacifica della crisi

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C’è forte imbarazzo e grande preoccupazione in Curia, ad Hong Kong, per la piega sempre più violenta assunta dalla crisi scoppiata tra manifestanti e polizia. La repressione poliziesca è una escalation: lacrimogeni e manganelli sono all’ordine del giorno, ma anche le armi da fuoco vengono usate contro i giovani ribelli.

D’altra parte la protesta della gente contro Pechino (e contro la governatrice Carrie Lam che appare manipolata dal governo cinese), non si placa ed anzi ieri è stata una giornata di forte tensione, culminata con il ferimento grave di un manifestante, colpito al torace dalla polizia. 

Un mese fa parrocchie, chiese e scuole cristiane avevano scelto una forma di solidarietà condivisa: decine e decine di campane delle chiese e campane tibetane avevano risuonato all’unisono in tutta Hong Kong, invitando i fedeli a pregare per una risoluzione pacifica del conflitto.

Circa 40 scuole e chiese cristiane, compresa quella di San Thomas, avevano voluto manifestare tutta la loro vicinanza alla popolazione.

In questo video si vede la  grande partecipazione della Chiesa alla preghiera: molte congregazioni cantano “sing Hallelujah to the Lord”, altre intonano la melodia “Christus Vincit”.

Ufficialmente la Chiesa in Hong Kong non ha preso posizione e non si schiera apertamente, ma il timore che la Cina possa intervenire in modo drastico per mettere fine definitivamente alle proteste, è molto forte.

«Sembra che la curia sia in una situazione di stallo – dicono fonti cattoliche ad Hong Kong – è anche divisa nelle opinioni, poichè sicuramente la Chiesa all’inizio è stata molto ingenua o comunque impreparata» a questa escalation di protesta e repressione.

Iniziate a luglio scorso con cortei pacifici (ed oceanici), le manifestazioni contro la proposta di legge di Carrie Lam sull’estradizione in Cina anziché spegnersi si sono intensificate.

Segno che la popolazione di Hong Kong ha paura di essere inglobata dalla macchina di Pechino e cerca di difendere con le unghie e con i denti la propria libertà.

Indipendente dalla madre patria inglese dal 1997, anno in cui tornò alla Cina con la formula un Paese, due sistemi“,  ha mantenuto da Pechino una certa autonomia.

In Cina attualmente sono dietro le sbarre oltre 300 avvocati, personale legale ed attivisti associati; Pechino censura internet, mette il bavaglio alla stampa non di regime e tiene sotto scacco blogger e dissidenti.