Ucraina: la speranza di una tregua e il coraggio di chi resta

In un incontro a Roma, Mario Giro e don Marco Yaroslav Semehen hanno parlato della risposta solidale dell'Italia e dell'accoglienza dei profughi. Ma anche della necessità di ricostruire.

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«Già adesso, mentre ancora si combatte, bisogna pensare al dopo: pensare all’Ucraina ricostruita e nell’Unione Europea».

Si tratta di uno sforzo che potrà iniziare però solo «quando ci sarà una tregua», come richiesto dal Papa per il tempo della Pasqua.

A parlarne oggi, dalla sede dell’agenzia stampa Dire nel corso dell’incontro “Roma Ucraina, gli aiuti, l’accoglienza, le diaspore”Mario Giro, esponente della Comunità di Sant’Egidio.

«Il negoziato è confidenziale», ha ricordato Giro ma i segnali ci sono: il cancelliere austriaco Nehammer che andrà a Mosca dopo essere stato a Kiev «non sarà andato a mani vuote».

All’incontro di oggi c’erano anche don Marco Yaroslav Semehen, rettore a Roma della basilica minore di Santa Sofia degli ucraini greco-cattolici e Barbara Funari, assessore alle Politiche sociali del Comune di Roma.

«Roma vuole essere una casa accogliente per i profughi, non sappiamo se per un tempo lungo oppure no», ha detto Funari.

Collegato in diretta da Kiev il salesiano don Maksim Ryabukha che ha parlato della forte coesione e del coraggio degli ucraini.

«La sensazione è che ci sia la presenza di Dio» tra la gente in Ucraina, ha detto.

A moderare il dibattito il giornalista della Dire Vincenzo Giardina.

«La guerra è diabolica – ha aggiunto Mario Giro – ma è un ingranaggio nel quale non dobbiamo lasciarci coinvolgere».

Don Maksim ha ribadito che «la guerra non è riuscita a distruggere la spina dorsale dell’umanità; non si è colta a sufficienza la questione della paura: la capitale è il bersaglio numero uno dell’aggressione, eppure la gente va via con un peso» quando è costretta a lasciarla per salvarsi.

C’è resistenza ad abbandonare il Paese e una volta raggiunta l’Italia si desidera ripartire presto per tornare a casa.

«C’è la capacità di essere un unico corpo, uno spirito di famiglia che non si può tradurre in parole», ha detto don Maksim. «Chi dice che la guerra durerà mesi o anni? Noi non lo crediamo».

Eppure secondo il salesiano le armi per ora sono l’unica strada percorribile.

«Cosa possiamo fare per la ricerca della pace? – dice – Quale linguaggio usare con la Russia? I russi non capiscono un linguaggio diverso da quello della guerra».

Per don Marco Yaroslav Semehen, che fin dall’inizio del conflitto, dalla basilica di Santa Sofia ha coordinato l’invio di aiuti e ricevuto i profughi, «la situazione umanitaria è destinata a peggiorare, siamo solo all’inizio, anche dal punto di vista dei rifornimenti alimentari: stanno per finire le scorte».

L’invio dei camion dall’Italia (finora ne sono partiti almeno 50) verso le città ucraine sarà sempre più vitale.