Peggiorano le condizioni di vita di chi si oppone alla rigida repressione governativa nella Repubblica Democratica del Congo (nel Nord Kivu vige da oltre un anno lo “Stato d’assedio militare“).
Lo scorso due aprile è stato arrestato il difensore dei diritti umani Mwamisyo Ndungo King, del movimento Lucha, Lotta per il Cambiamento.
Così come peggiora la sicurezza nei territori controllati dalle milizie armate che combattono l’esercito governativo di Félix Tshisekedi.
Il Baromètre sécuritaire du Kivu (progetto di monitoraggio della sicurezza nell’Est del Paese ideato da Human Rights Watch) ha riferito qualche settimana fa della ripresa dei combattimenti proprio a Rutshuru, nel Nord del Kivu.
Il 2 aprile scorso, poi, la milizia ribelle M23, risorta dopo mesi di silenzio, aveva dichiarato un cessate-il fuoco unilaterale, per consentire ai civili di mettersi in salvo.
Ma oggi i combattimenti sono già ripresi. (clicca qui).
(Clicca qui per i dati e le mappe).
Il presidente Tshisekedi è considerato (non a torto) molto debole, incapace di tenere sotto controllo la guerriglia ma anche eccessivamente autoritario.
E poco attento allo spreco di risorse interne.
E’ l’est del Congo – le province del Nord Kivu e dell’Ituri – ad essere seriamente sotto scacco. Attaccato dalle milizie che si contrappongono una all’altra, e dall’esercito che oramai è fuori controllo. Con comprensibile aumento di profughi verso l’Uganda.
«La milizia M23 ha attaccato l’esercito governativo in tre villaggi la mattina del 28 marzo scorso: a Runyoni, Chanzu e Ndiza. La gente fugge verso l’Uganda», scrive il Baromètre.
E’ questo lo scenario dentro il quale si muove la preparazione del viaggio apostolico di Papa Francesco. Il pontefice a luglio prossimo sarà a Goma, ed attraverserà zone soggette ad una nuova ondata di violenza. Denunciare gli arbitri dello stato d’assedio però, è considerato reato.
E’ notizia di pochi giorni fa che ben 13 attivisti del movimento di opposizione Lucha sono stati condannati ad un anno di carcere per essersi espressi contro lo “stato d’assedio” imposto dal governo nel nord del Kivu. Lucha intende ricorrere in appello.
Così ci conferma al telefono il giornalista free lance di Goma, Akilimali Saleh Chomachoma, uno dei primi ad essersi recato sul luogo dell’imboscata al nostro ambasciatore, un anno fa.
Chomachoma scrive anche per Agri Mines, agenzia stampa specializzata sulle miniere in Congo.
«La repressione e gli arresti sono una delle conseguenze dello Stato d’assedio militare», ci spiega.
Amnesty International chiede da oltre un anno di porre fine a queste misure militari eccezionali poichè comportano un aumento di violenza indiscriminata anche nei confronti dei civili, ed un abbassamento del rispetto dei diritti umani e della giustizia.
(clicca qui per lo statement Amnesty del 2021)
E’ come se il governo (senza capacità di tenere a bada la guerriglia), fosse sceso in guerra contro i suoi stessi abitanti, soggetti all’arbitrio dei militari.
Gli arresti dei ragazzi di Lucha lo dimostrano.
Non a caso papa Francesco vuole arrivare proprio qui, nel cuore pulsante (e infernale) dell’immenso Paese africano.
Ferito dal colonialismo e dal post-colonialismo, dilaniato da anni di guerra. E di saccheggi delle sue terre.
Il Papa arriverà a 15 chilometri a Nord di Goma, a Chegera, villaggio che sorge sulla Goma-Rutshuru, l’asse stradale dove è stata tesa l’imboscata alla scorta dell’ambasciato Luca Attanasio- e al carabiniere Vittorio Iacovacci e Mustapha Milambo il 22 febbraio 2021.
«Conosco bene il villaggio di Chegera a Buhumba, a Nord di Goma, dove il papa celebrerà la messa quando sarà in Congo. È molto vicino a dove abitiamo noi», ci conferma al telefono una missionaria fidei donum storica, da oltre 50 anni in Congo, Antonia Lo Schiavo.
Tutta la regione di Goma, nel Kivu è un “gran carnaio”: l’infittirsi della guerriglia senza regole e senza apparente motivazione (se non quella della conquista di terre ricche di minerali e della lotta per il potere, si parla di “balcanizzazione” del Congo), rende insicura la vita della gente comune.
«Il papa viene qui per stare in mezzo alla gente, per guardarla negli occhi! Speriamo davvero che le cose cambino», dice ancora la missionaria.
La speranza nutrita dal popolo è che si apra presto un processo presso la Corte Penale Internazionale, per giudicare i crimini e le violazioni commesse in questi anni soprattutto a Beni, ed individuare i responsabili.
In questo modo si potrà creare una deterrenza rispetto a nuove violenze e violazioni del diritto internazionale.