Dall’Italia a Leopoli, la Carovana della pace “Stop the War Now“ ha portato in Ucraina 30 tonnellate di aiuti umanitari ed è sfilata nelle strade della città con la partecipazione di oltre 150 associazioni umanitarie religiose e laiche.
Assieme ai volontari è partito anche monsignor Giuseppe Satriano, arcivescovo di Bari e presidente della Fondazione Missio che ci racconta le giornate oltre il confine di guerra.
«E’ stato importante vivere la Carovana di pace, dopo 30 anni dal cammino che don Tonino Bello aveva fatto per Sarajevo – racconta monsignor Satriano -. L’associazionismo pacifista cattolico e quello laico hanno organizzato la missione umanitaria in maniera coesa per portare un segno concreto di vicinanza».
Gli oltre 220 volontari si sono mossi con 67 mezzi che, dopo la manifestazione svoltasi dal 1 al 3 aprile, hanno riportato indietro circa 300 profughi: bambini disabili, donne e famiglie in condizioni di bisogno.
«Si tratta di una iniziativa di «fratellanza concreta nel momento storico in cui si vota per l’aumento al 2% delle spese militari e mentre la guerra sta falcidiando drammaticamente non solo il popolo ucraino, ma anche coloro che stanno attaccando, perché i soldati russi cadono sul terreno.
La morte di tanti civili indifesi, di tanti bambini ha bisogno di risposte di vicinanza e solidarietà».
Poi il vescovo spiega che «il destino di questi popoli è legato alla loro storia, ai loro rapporti.
Ma anche a quanto i popoli vicini europei riusciranno ad elaborare come mediazione politica e diplomatica.
Oggi siamo in una situazione di stallo, anche le cosiddette sanzioni che volevano provocare una decrescita economica della Russia, non sembrano sortire gli effetti desiderati».
Monsignor Satriano ha visto da vicino «un popolo che affronta la realtà con grande dignità.
A Leopoli la gente vive apparentemente come se la guerra non ci fosse, anche se ci si accorge subito che la guerra c’è: nei posti di gestione della vita sociale, ovunque si vedono donne che guidano i tram, i pullman, che indossano la divisa da poliziotto, che sono ai check point.
Gli uomini sono assenti, sono al fronte. Tutti hanno sguardi tristi, un vissuto doloroso».
In città non si vedono profughi. A Leopoli, città vicina al confine polacco e quindi crocevia di migrazione, centinaia di persone in fuga dalle zone calde sono ospitate nelle case o sono in attesa di partire con i pullman verso altre destinazioni in Europa.
«Li abbiamo incontrati alla frontiera, li abbiamo visti scendere da un pullman e, in fila indiana attraverso un camminamento predisposto, con dei punti di raccolta, orientati per passare oltre il confine – dice il vescovo – Leopoli è una città di frontiera dove si raccoglie il dolore di chi scappa dai luoghi assediati, martoriati, di questa guerra.
Diciamo che la città è una grande tenda da campo per accogliere con dignità questi fratelli e poi orientarli verso collocazioni sicure. La Polonia accoglie già quasi due milioni di profughi».
L’esempio di don Tonino Bello e il suo Vangelo come disarmante annuncio di pace e fratellanza tra gli uomini, ha accompagnato i giorni della Carovana, come ricorda l’arcivescovo di Bari:
«La sua eredità vive nei gesti di chi cerca di costruire la pace.
La presenza dei giovani mi ha dato molta speranza, mi ha fatto riflettere su come in questo lungo inverno che stiamo vivendo, ci siano comunque dei segni di speranza che fioriranno.
I giovani avvertono che quando l’umano entra in crisi non bastano i discorsi, bisogna muoversi, agire.
Attestare una fraternità che è stata testimoniata in maniera semplice, bella, trasportando attraverso l’Europa beni di prima necessità».
Qualcuno potrebbe dire, sminuendo, che è una goccia nell’oceano, ma così non è.
Il mettersi insieme ha generato tanta riflessione nelle coscienze e molti altri già si muovono in tal senso, non solo dall’Italia ma anche da altri Paesi, creando fiumi di bene, realizzando significativi gesti di pace.
Nei giorni della Carovana ci sono stati incontri con i pastori delle Chiese presenti sul territorio, come spiega il vescovo «Siamo stati ospitati nella palestra del Seminario greco cattolico di Leopoli (in Ucraina i greco cattolici sono la maggioranza della popolazione).
Per le tre Chiese (cattolica e ortodossa russa, oltre a quella di rito greco cattolico) avevo portato in dono la “Manna di san Nicola” come segno di comunione e di un cammino comune verso la pace, nel nome del grande uomo di carità e giustizia.
Come tutti sanno, San Nicola è un santo molto popolare e venerato in Occidente e in Oriente».
Presente per «essere Chiesa accanto al popolo della pace, ma anche per portare una testimonianza di fraternità» monsignor Satriano ricorda il valore profetico della enciclica Fratelli tutti.
«E’ stato importante incontrare i pastori delle Chiese cattolica e ortodossa. Il tema della fraternità ci impone grande rispetto dell’umanità e della vita degli altri, pensando a quell’umanità che parla di cielo e di terra, che parla di Dio, del prendersi cura dell’altro, della solidarietà con il fratello.
Nel momento in cui Caino smarrisce lo sguardo verso Dio e il fratello Abele, vede solo il suo orgoglio ferito. Uccide.
Oggi sta accadendo questo. Ecco perché il tema della fraternità diventa fondamentale. Il papa ci ha consegnato ad Abu Dhabi un documento fortemente significativo e profetico.
La Carovana della pace trasudava di questo desiderio di fraternità e il nostro gesto è stato molto apprezzato.
«Il popolo ucraino sta soffrendo con grande dignità e anche orgoglio, non vuole perdere l’esperienza della democrazia che ha costruito in questi anni, non vuole cedere al ricatto di nessuno, e sta soffrendo troppo».
Oggi tutti si chiedono se in una situazione sempre più drammatica, in questa guerra che papa Francesco definisce «ripugnante, folle e sacrilega» si possano intravedere spiragli di pace vera tra russi e ucraini, popoli fratelli, consacrati entrambi a Maria da papa Francesco il 25 marzo scorso.
Monsignor Satriano torna a Bari portando con sé un grande bagaglio di ricordi, ma anche «tristezza, dolore, il suono delle sirene giorno e notte, allarme di probabili attacchi aerei e missilistici tengono sotto pressione costante la popolazione.
Mentre il popolo della Carovana della pace riposava nella palestra del Seminario di Leopoli, all’improvviso un allarme ha costretto i partecipanti a scendere nel bunker dello stabile.
Personalmente sono stato ospitato presso la casa dei padri Orionini dove molte mamme profughe dai luoghi di guerra sono accolte.
In quel frangente, si è sentito il vagito di un bambino nato la mattina precedente: un segnale di speranza, la vita che grida sulla morte. Credo che nella notte che il mondo sta vivendo sia stata accesa una piccola luce segno di benedizione e di pace per molti».