Persino dal Sud Sudan appeso al filo di una pace fragile (con milizie armate che non si integrano fra loro e una guerriglia costante), e dal Sudan in balia del golpe, arrivano parole di solidarietà e vicinanza all’Europa e all’Ucraina in guerra.
«Tutti seguono con apprensione e dispiacere il conflitto: è difficile per noi accettare che anche in Europa, il cosiddetto “continente democratico” i potenti e i violenti ci siano ed usino la forza esattamente come in Africa».
A dirlo, al telefono da due Paesi africani non esattamente pacificati, sono Suor Elena Balatti e padre Diego Dalle Carbonare, missionari comboniani rispettivamente in Sud Sudan e in Sudan.
Nel Sudan colpito ad ottobre scorso da un golpe militare, dove ancora si scende in strada per protesta (e si muore), il conflitto in Ucraina fa effetto «perchè non è una guerra di kalashnikov ma di bombe e di carri-armati», dice padre Diego dalla capitale Khartoum.
«Anche se non stiamo organizzando ancora delle marce o delle veglie come da voi, sono sicuro che la gente è solidale nella preghiera, e segue quello che accade: è una guerra scioccante persino per noi», aggiunge il comboniano.
«Sicuramente chi segue la tv in Sudan è consapevole di quello che accade in Ucraina: i media internazionali, dalla BBC ad Al Jazeera si guardano più qui in Africa che non in Europa, e parlano costantemente del conflitto.
La gente guarda la televisione e soffre per voi», dice padre Diego.
«Inoltre devo dire che questo conflitto sta già scombussolando il mercato del petrolio e presto aggredirà anche quello della farina e quindi del pane, con ripercussioni in Africa.
Per altre ragioni, legate all’instabilità del Colpo di Stato, in Sudan il prezzo della benzina è già salito del 30% chissà che non salga ancora: non c’è da stare allegri».
«Le persone vedono anche che le armi usate in Ucraina non sono i fucili dell’Africa: noi siamo abituati alle guerre a bassa intensità, che non si fermano mai ma uccidono in tempi più lunghi, mentre una guerra come quella di Putin, scatenata con i carri armati e le bombe, ad alto raggio fa molta impressione!», spiega il comboniano.
Dal Sud Sudan dove è in corso una ininterrotta guerriglia, suor Elena conferma che «le immagini dall’Ucraina arrivano: facebook è molto usato, i social media forniscono news sulla guerra.
L’invasione di Putin ci preoccupa ma stiamo pregando affinchè ci sia la pace».
Inoltre «le persone con un livello medio di istruzione, comprendono bene come una guerra di questo tipo abbia il potenziale di allargarsi e anche di peggiorare la situazione economica in Africa», spiega la comboniana che si trova a Malakal.
La partecipazione popolare alla sofferenza del Vecchio continente è concreta, a partire dalla preghiera.
«Il papa è stato chiaro e in molte chiese del Sud Sudan non solo quella cattolica, si invitano le comunità a pregare», aggiunge.
«Abbiamo bisogno in questi tempi di emozioni positive e di buone notizie, perchè lo scenario internazionale è cupo e il pericolo di una guerra nucleare tiene in scacco tutto il mondo», aggiunge suor Balatti.
«E’ sufficiente che un individuo solo abbia la possibilità di schiacciare un bottone che tutti si debbono fermare e sperare che non lo faccia. C’è un clima di paura e di guerra fredda ma non di vera pace. E questo anche in Africa si sente.
La notizia dell’arrivo del Papa qui da noi a Luglio, è l’unica speranza che ci anima per ora e sappiamo che è può fare miracoli», conclude la comboniana.