Il vertice tra Unione Europea ed Unione Africana si è concluso il 18 febbraio scorso con l’impegno da parte di Bruxelles, di mobilitare 150 miliardi di euro per investimenti pubblici e privati in Africa nell’arco di sette anni.
Il Piano fa parte del più complesso Global Gateway della Commissione europea – una sorta di Via della Seta alternativa a quella cinese – con lo scopo di sostenere le infrastrutture in tutto il mondo fino a 300 miliardi di euro entro il 2027. La metà di questo budget è destinato all’Africa.
L’intero pacchetto però (svincolato da una vera strategia politica nel continente nero), lascia perplessi diversi missionari italiani.
«Prima di stanziare soldi bisogna decolonizzare lo sguardo sul Continente», suggeriscono i missionari da noi interpellati.
«L’Europa dovrebbe guardare all’Africa ad altezza d’uomo – dice padre Francesco Zampese, saveriano in Congo per oltre vent’anni e oggi rientrato a Brescia – è necessario prima assumersi le responsabilità del passato coloniale, domandare perdono per il colonialismo agito, e per l’economia predatoria che prosegue tutt’oggi».
Gli investimenti stanziati al vertice per l’Africa, in base al piano messo a punto da Bruxelles, saranno centrati su transizione ecologica (energie rinnovabili e biodiversità), riduzione dei rischi dati dai disastri naturali, trasporti, accesso ad internet, produzione di vaccini.
Il dubbio dei missionari è che si stia rincorrendo Pechino:
«L’Europa si è accorta che l’Africa sta per essere divorata dalla Cina: è tutta una rincorsa alla leadership – aggiunge padre Zampese – Da che io ne ho memoria non si è mai fatto sull’Africa un incontro di dignità».
Ricordando lo sfruttamento delle miniere d’oro del passato, il saveriano dice:
«ho sofferto tantissimo in quegli anni nel vedere la terra dell’intera nostra parrocchia trivellata da una società multinazionale franco-belga: i minatori prendevano un uovo al giorno come salario, mentre le aziende mandavano a Bruxelles tutti i lingotti d’oro».
Il confratello di padre Zampese, Gianni Brentegani, anche lui missionario per 25 anni nella Repubblica Democratica del Congo e oggi in Italia, ritiene che questi vertici europei siano importanti, «ma a condizione che non siano un modo per correre dietro agli altri e contrastare la Cina, la Russia, la Turchia e Israele… Perchè temo che con questa logica vertici potenzialmente validi, perdano la loro potenza».
Il riferimento è anche alla analogia tra il Global Gateway europeo e la Silk Road ideata da Pechino.
«Mi chiedo inoltre se questi aiuti non siano in qualche modo funzionali allo sfruttamento delle materie prime in Africa: parliamo di migliorare le condizioni delle popolazioni locali o anche di altro?», è il dubbio del missionario.
«Il punto è che guardando le cose dal basso, come le vediamo noi, stando vicini alla gente, ci accorgiamo che lo sviluppo qui non arriva mai e le iniziative spesso si bloccano. Non c’è un meccanismo di monitoraggio dei fondi», dice Brentegani.
Secondo il saveriano «ci vorrebbe un partenariato al 50% con l’Africa: qui ci sono le materie prime e in Europa le tecnologie, si dovrebbe agire in modo paritario».
Molto netta l’opinione del comboniano padre Antonio Guarino dallo Zambia: «Il partenariato alla pari tra Europa ed Africa a mio avviso non esiste».
«L’Africa – afferma il missionario – è tenuta al cappio: per chi non vive la realtà africana in maniera diretta, questa iniziativa potrà anche apparire genuina, ma chi sa non si illude;
Del resto non è mai esistito un partenariato con l’Africa: il paternalismo è stato accentuato dal colonialismo economico e finanziario, che è anche peggio».