Aumenta il flusso dei migranti lungo la rotta che dal Messico porta verso il confine degli Stati Uniti. Ma lungo la strada accade di tutto: controlli territoriali dei narcos, violenze, rapine. E centinaia di corpi senza nome, testimonianza di una strage impunita. Anticipiamo una parte del reportage in uscita sul numero di novembre di Popoli e Missione.
Desaparecidos, ovvero scomparsi. Una parola che racchiude dentro di sé un dramma infinito e che nell’immaginario collettivo italiano è diventata tristemente nota, soprattutto durante l’ultima dittatura argentina.
Il 30 agosto scorso è stata la Giornata mondiale degli scomparsi e, purtroppo, in America latina non ci sono solo le migliaia di desaparecidos eliminate dalla giunta di Videla, tra 1976 e 1983.
In Messico il numero delle persone dichiarate scomparse ha superato proprio quest’anno le 90mila unità.
Una notizia che fa raggelare il sangue ma che rende bene l’idea del dramma nel Paese della tequila a causa soprattutto della violenza dei narcos.
Alla vigilia della celebrazione della Giornata dedicata ai desaparecidos, proprio in Messico i parenti delle persone scomparse hanno denunciato la crisi delle “bare senza corpi” e dei “corpi senza identità”.
Oltre 52mila cadaveri, infatti, rimangono ad oggi non identificati, secondo i dati presentati dal “Movimento per i nostri scomparsi” e pubblicati in un rapporto di fine agosto scorso. Il problema è che la maggior parte delle regioni messicane identifica meno del 20% dei cadaveri che si registrano tra i migranti in entrata ogni mese.
La situazione è particolarmente grave in alcuni Stati come la Bassa California, la capitale Città del Messico e l’omonimo Stato confinante, Jalisco, Chihuahua, Tamaulipas e Nuevo León. Insieme questa parte di Messico riunisce 37mila persone decedute di cui non si conosce l’identità perché nessuno ha fatto il test del DNA per il loro riconoscimento.
Dall’altra parte ci sono altrettante famiglie disperate che non sanno da anni dove sono finiti i loro cari.
Il j’accuse nei confronti delle autorità preposte a dare un nome a chi non c’è più, oggi è molto forte in Messico dove, per la cronaca, lo scorso anno si sono registrati 27,8 omicidi ogni 100mila abitanti, uno dei tassi più alti al mondo.
Un boom di violenza che è ben rappresentato dalla situazione lungo la Monterrey-Nuevo Laredo, dove tra maggio e settembre di quest’anno sono scomparse già oltre 200 persone. I media locali l’hanno soprannominata “l’autostrada della morte”.
Le sparizioni sono collegate alla guerra per il territorio tra i cartelli di Jalisco e del Nord est e tra i dispersi ci sono camionisti, tassisti ma anche donne, bambini e uomini alla guida di auto private.
Negli ultimi mesi, gli attivisti dicono che circa una mezza dozzina di persone sono riapparse ma con segni di percosse dopo essere state rapite in autostrada: uomini armati li avevano costretti a fermarsi sull’autostrada e hanno rubato le loro auto. Ma 200 sono svaniti nel nulla in neanche tre mesi. (…)
L’articolo prosegue nel numero in distribuzione della rivista Popoli e Missione. La foto in apertura, AFP è di Miguel Angel.