Il prossimo 22 luglio è stata indetta una giornata di preghiera per il Nicaragua. A chiederlo sono i vescovi latinoamericani, che proprio ieri, riuniti nel Celam, il Consiglio Episcopale dell’America Latina e Caribe, hanno espresso solidarietà al popolo nicaraguense e chiesto di pregare per le tante persone aggredite dalla follia omicida del sandinista Daniel Ortega.
I vescovi hanno scritto in una nota che esprimono «vicinanza e solidarietà al popolo e ai suoi pastori, profeti di giustizia, di fronte alla drammatica e spaventosa crisi sociale e politica attualmente in corso».
Oltre alla giornata di preghiera, la Conferenza dei vescovi chiede anche di rispettare un mese di adorazione, rosario, digiuno, e rinnovo delle promesse battesimali.
«Di fronte a questa grave situazione – si legge nella nota – noi siamo chiamati ad essere voce di quanti non hanno voce, per sostenere i loro diritti, cercare strade di dialogo e ristabilire giustizia e pace, in modo tale che ‘in Cristo, tutti possano avere la vita’, specialmente quelli che si sentono abbattuti a causa delle morti e della violenza».
Ma cosa sta succedendo esattamente in Nicaragua?
Oramai da più di tre mesi si muore in strada: la situazione è completamente sfuggita di mano al governo, da quando, ad aprile scorso, studenti e cittadini comuni hanno manifestato dissenso verso le politiche economiche anti-sociali di Ortega.
Polizia e milizie paramilitari da allora reprimono nel sangue ogni forma di opposizione, ma soprattutto uccidono la gente sia nel corso di manifestazioni pacifiche che durante ronde violente.
Il picco è stato raggiunto quando la polizia, il 9 luglio scorso a Masaya, e poi di nuovo il 14 luglio ha attaccato alti prelati della Chiesa cattolica nelle chiese e durante la processione: risale a sabato scorso l’uccisione di altre 40 persone (che si sommano alle 300 da aprile ad oggi).
In particolare sono stati presi di mira il Cardinale Leopoldo Brenes, arcivescovo di Managua, il suo ausiliare, monsignor José Silvio Báez, e il nunzio apostolico Waldemar Stanisław Sommertag, nella basilica di San Sebastián , a Diriamba, città a 41 km a ovest della capitale.
Ieri, in un discorso ufficiale alla nazione il Presidente Daniel Ortega ha detto: «I vescovi nicaraguensi hanno facilitato manovre golpiste contro il governo». E ha poi aggiunto, in riferimento alla lettera dell’Episcopato a lui indirizzata: «io pensavo fossero mediatori, però erano dalla parte dei golpisti, facevano parte del loro piano».
Nella lettera i vescovi proponevano di dare una svolta alla vita democratica del Paese e di anticipare le elezioni.
«Ciò cui stiamo assistendo nelle ultime 24 ore è qualcosa che va ben oltre tutto quello che abbiamo visto finora», ha detto Felix Maradiaga, un difensore dei diritti umani piuttosto noto in Nicaragua, appena rientrato in patria dopo essere stato a Miami per sfuggire alle forze di polizia di Ortega.
«Sono scioccato – ha dichiarato alla stampa – i sostenitori del regime di Ortega sono in strada senza alcun riguardo per la vita umana».
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