Il Sahel attraversa una crisi «multidimensionale che è stata aggravata e non risolta dalla presenza militare francese».
Lo scetticismo delle persone «nei confronti della Francia è grande e non è un sentimento recente questo – ci spiega al telefono da Niamey, padre Mauro Armanino, missionario SMA – : per otto anni il Sahel è stato militarizzato e i militari non sono una garanzia per la società civile». Tutt’altro.
Ci sono state uccisioni di civili, violenze e moltissimi arbitri nei confronti della gente sia in Niger che in Mali. La presenza coloniale francese ha fatto il suo tempo in Africa, ma Parigi non è del tutto consapevole del cambio di passo, dice il missionario. Nonostante annunci la sua dipartita.
«La Francia non ha capito fino in fondo che il suo ruolo post coloniale nel Sahel è finito», dice Armanino senza mezzi termini.
Sia in Niger che in Mali, «c’è molta sensibilità sul tema della sovranità e la presenza della basi militari francesi non è mai stata discussa dai parlamenti locali», pertanto non è mai stata davvero accettata.
Alla vigilia del prossimo vertice Africa-Francia (un summit che si tiene ogni anno dal 1973 e che stavolta il presidente Macron ha voluto informale, senza la presenza dei capi di Stato e di governo africani), il missionario traccia un bilancio della presenza francese, in vista della exit strategy di Parigi dal Sahel, e della recente militarizzazione russa del Sahel.
La regione del Sahel dopo otto anni dell’operazione Barkhane (ossia della presenza dell’esercito francese nelle zone del deserto), dice il missionario, «è più povera e sfinita di prima».
La povertà nel Sahel riguarda il 40% degli abitanti della regione (Mali, Niger, Burkina Faso e Ciad), con 2,5 milioni di bambini che non vanno a scuola per motivi di sicurezza.
Date queste premesse il «sentimento genericamente anti-occidentale, e specificamente anti-francese degli abitanti del Sahel è comprensibile», dice Armanino.
La 28ma edizione del summit che si terrà a giorni a Montpellier vorrebbe favorire il dialogo tra il governo francese ed imprenditori, artisti, attivisti della società civile africana, secondo le intenzioni di Parigi.
Forse la Francia di Macron, cerca in extremis di salvare il suo rapporto con un tessuto sociale africano che le sfugge: per «dare un segnale ai nostri interlocutori africani, affinché capiscano che siamo pronti all’ascolto», come ha detto Macron.