Justice Africa Sudan (JAS), organizzazione sudanese che difende i diritti umani, lancia un allarme relativo alla detenzione arbitraria di un gruppo di cristiani dei monti Nuba, in Sudan.
La onlus ha pubblicato un report datato 10 ottobre, nel quale segnala in modo dettagliato il rapimento di 70 persone (tra cui donne e bambini poi liberati), 16 delle quali ancora in arresto, appartenenti alla Sudan Christian Church di Al Iziba Buhri, nello Stato di Khartoum.
La detenzione illegale è ad opera dell’intelligence militare del Paese, in guerra con le Rapid Support Forces.
«Secondo le nostre fonti legate alla chiesa – si legge nel report – il gruppo aveva deciso di lasciare Buhri nello Stato di Khartoum, per raggiungere lo Stato di Shandi River Nile, a causa dell’intensificarsi della battaglia in quell’area».
Tutti e 70 i civili, tra i quali 20 donne e 20 bambini, vengono dalle montagne Nuba nel Darfur, e sono stati arrestati dai militari delle Sudan Armed Forces il 6 ottobre di quest’anno con l’accusa di essere collaboratori delle Rapid Support Forces.
L’accusa non ha fondamento poichè, in base alle Convenzioni internazionali, i civili non possono avere nè colpe nè responsabilità per il fatto di risiedere nelle aree controllate da forze nemiche in guerra.
Eppure la consuetudine di attaccare i civili (anche donne e minori), con motivazioni legate al ‘collaborazionismo’ con forze nemiche, sta diventando sempre più diffusa nelle guerre, sia in Africa che in Medio Oriente.
Le Rapid Support Forces che combattono contro l’esercito ‘ufficiale’ del Sudan in questi mesi hanno conquistato tre città nello Stato di Khartoum: la capitale stessa, Khartoum, poi Omdurman e infine Khartoum Bahri, dove domenica scorsa l’esercito ha bombardato un mercato adiacente ad una base militare ‘nemica’, uccidendo almeno 20 persone.
I combattimenti tra i due generali rivali proseguono dal 15 aprile del 2023.