«Il popolo libanese ha un grande spirito di resilienza, ma quando il dolore è troppo grande le persone non parlano più, e il silenzio diventa il loro linguaggio.
Il popolo è talmente preso dai bisogni primari, dal mangiare, dal bere, dal reperire le medicine, la benzina, che non ha più le forze né il tempo di pensare ad altro che a sopravvivere.
E contro chi dovrebbero poi protestare, verso quale istituzione?
Il Libano adesso non è un Paese né gli somiglia.
Quando parliamo di un Paese parliamo di una struttura istituzionale, di politica, di accordi, di leggi, tutto questo non esiste più».
A dirlo, in questa intervista con Popoli e Missione è suor Myrna Farah, religiosa libanese delle Suore di Santa Giovanna Antida Thouret ed esperta di formazione.
Come se tutto ciò non bastasse, sul Paese dei cedri si è ora abbattuta questa nuova guerra con Israele. Ma facciamo un passo indietro.
Immediatamente dopo il 7 ottobre Hezbollah ha lanciato molti missili contro il suo vicino per manifestare la propria solidarietà ad Hamas; la risposta però non è mai equilibrata e in cambio il Libano ha ricevuto oltre 1200 attacchi ai propri confini meridionali.
Attacchi che a suo tempo provocarono centinaia di morti e feriti e causarono la devastazione di una fascia di territorio larga almeno cinque chilometri, in quella che oltretutto è la zona più fertile del Paese.
Testimonianze parlano di bombe al fosforo, di interi palazzi bombardati per colpire questo o quel capo politico, in pratica una guerra de facto, anche se non dichiarata, che sta mettendo in ginocchio la popolazione del Sud del Libano.
La suora ci racconta che «in Libano ci sono due orientamenti: quello di Hezbollah, che non rifugge da una guerra con Israele per liberare le terre conquistate da questo, e i partiti liberali che non vogliono prendere impegni in questo Medio Oriente che sembra un vulcano.
La strategia di entrambi sembra adesso quella di giocare sul tempo.
Tutti e due misurano le minacce e le conseguenze di una guerra, che sicuramente sarebbe una guerra regionale.
Hezbollah non è Hamas che è radicata solo a Gaza, Hezbollah è molto più organizzato e forte, conta su oltre 100mila miliziani, più dei soldati dell’esercito libanese, in pratica uno Stato nello Stato.
E l’Iran ha annunciato che una guerra in Libano sarà una guerra regionale».
A parlare per l’Iran non una persona qualunque ma Kamal Kharazi, consigliere della guida suprema dell’Iran, l’Ayatollah Ali Khamenei, e capo del Consiglio strategico iraniano per le relazioni internazionali, che, in una intervista al Financial Times, aveva sostenuto che l’Iran «è pronto a mettere in campo tutti i mezzi che ha a disposizione per sostenere i miliziani di Hezbollah in una guerra su vasta scala contro Israele».
«E non si deve fare l’errore di dare troppa importanza alle differenze che dividono sciiti e sunniti – chiude la suora -. Aldilà delle posizioni ufficiali, c’è un sentimento d rabbia e di ingiustizia che cresce nel mondo arabo.
Le popolazioni vedono che il mondo occidentale è silenzioso davanti a questa tragedia che sta sterminando un popolo intero, e allora cosa sarà non si può immaginare, anche perché al fondo non ci sono motivi economici o il desiderio di conquistare una terra, ma solo l’odio e la volontà di cancellare la presenza dell’altro».
(Foto Pexel priva di copyright, Beirut).