Quello che del Sahel non si dice, un mondo tutto da scoprire (e da studiare)

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Del Sahel non si è mai parlato molto, classificato genericamente per decenni come l’Africa
Occidentale dove la Francia l’ha fatta da padrona attraverso una politica monetaria fondata sul
Franco CFA, una moneta coloniale la cui sopravvivenza è costata la vita a gente come Gheddafi e
prima di lui a Sankara.

Oggi il mondo si sta accorgendo di questa parte dell’Africa, ricchissima di energia, perché è diventato terreno di scontro politico-militare fra Russia e Occidente.

Una nuova generazione è arrivata al potere in questi Paesi, una generazione colonialmente  decomplessata rispetto alla generazione precedente e meno disposta a fare solo da garante d’ordine per altri di uno spazio geografico, ma ben intenzionata a entrare a pieno titolo nel gioco della politica internazionale, cosciente delle sue ricchezze e gelosa della propria cultura.

Capire il Sahel diventa quindi un imperativo per chiunque si occupi di scandagliare le prospettive geostrategiche di questa parte del mondo che, ricordiamolo, ha giocato un ruolo non secondario nel trovare un pretesto per l’invasione dell’Irak da parte degli americani.

Uno dei primi testi che consiglierei per capire il Sahel è un’opera a più mani dell’Università di Oxford: “Oxford Handbook of African Sahel” diretta da Leonardo Villalon, che esplora i punti comuni che legano i sei Paesi della regione: Senegal, Mauritania, Mali, Burkina Faso, Niger e Ciad.

“Il Sahel – ricordano gli autori – si trova oggi ad un bivio importante, sollecitato da pressioni multiple e varie: ambientali, politiche, demografiche, economiche in un contesto dove trovano spazio dinamiche sociali e religiose in piena evoluzione”.

Un secondo testo di facile lettura ma particolarmente ricco di spunti è “L’invention du Sahel” di
Jean-Loup Amselle che parte dall’assunto che “il Sahel è una categoria…instabile, ibrida,
intermediaria tra deserto e savana, tra nomadismo e sedentarietà, tra popolazioni “bianche”
(Tuareg…), popolazioni “rosse” (Peuls) e popolazioni nere, tra animismo e islam”.

Difficile se non impossibile quindi definire esattamente di cosa stiamo parlando quando parliamo del Sahel, una nozione “totalmente arbitraria che deve la sua esistenza al consolidamento di uno sguardo coloniale prigioniero di una rappresentazione stereotipata della Regione”.

Come terzo testo di riferimento potrei suggerire “Il grande gioco del Sahel, dalle carovane
di sale ai boeing di cocaina” dei nostri Marco Aime e Andrea De Giorgio, che pone l’accento sulla
tradizionale coesistenza tra allevatori e agricoltori fonte di infinite querelles per l’accaparramento delle risorse che in questi ultimi anni hanno portato a cruentissimi scontri fra i diversi gruppi.

Ma il Sahel non è solo questo, affermano gli autori, “differenti e nuovi interessi convergono nel Sahel,
implicanti le grandi potenze mondiali e i nuovi progetti di espansione della Cina e della Russia in Africa, nonché le mire egemoniche della fazioni jihadiste più radicali, il mercato internazionale
della droga e delle armi, e il traffico molto lucrativo dei nuovi schiavi verso l’Europa”.