I laici in missione? Sono una diplomazia dal basso (anche molto concreta!)

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Si sente spesso parlare di “diplomazia dal basso”, in riferimento al ruolo che molte persone
“comuni” o associazioni rappresentative della società civile sono in grado di svolgere, al di fuori dei convenzionali canali diplomatici istituzionali dei singoli stati o delle Nazioni Unite, in particolare per la risoluzione pacifica dei conflitti.

Questa capacità di mediazione dal basso riguarda anche situazioni di crisi internazionali in cui viene messa in discussione la sopravvivenza di intere popolazioni.

L’esempio che possiamo definire di diplomazia dal basso più comunemente citato nel contesto italiano (sia civile che ecclesiale), è rappresentato dall’opera di mediazione condotta dalla Comunità di Sant’Egidio in Mozambico, che ha portato nel 1992 alla firma dell’Accordo Generale di Pace tra le due parti in lotta (FreLiMo e ReNaMo). 

Quella del Mozambico è un’emblematica dimostrazione di come una “semplice” associazione
cattolica espressione della società civile, possa contribuire in maniera efficace alla gestione e
risoluzione pacifica dei conflitti, compresi quelli che coinvolgono enormi interessi strategici sia in
ambito militare che geopolitico, economico e sociale.

Per quanto attiene al mondo missionario ed ancor più al servizio missionario prestato dai laici, possiamo sicuramente scorgere alcune potenzialità che bene si associano ad un lavoro di diplomazia dal basso, anche se molto spesso non vengono adeguatamente curate e valorizzate.

I missionari in genere sono potenziali “ambasciatori” di pace, e non solo in senso evangelico, quasi relegati ad una idealità “beata”, ma possono essere strumenti essenziali per la costruzione dalle fondamenta di una casa comune liberata dalla violenza armata e dalla sopraffazione.

Anche i laici che svolgono la loro attività in missione hanno l’opportunità di condividere in modo privilegiato, proprio in quanto laici (laiche, laici, coppie di sposi e famiglie), aspetti della vita delle comunità locali, delle famiglie, dei giovani, che rimandano ad un ulteriore impegno in grado di arricchire il lavoro professionale e le pratiche religiose di sempre nuove opportunità di conoscenza della realtà e delle sfide che la gente è chiamata ad affrontare.

Tra queste sfide di cui i laici sono partecipi, c’è anche quella di creare le condizioni per
dare corso ai processi di gestione dei conflitti, sulla base di rigorosi criteri di discrezione e
riservatezza, ma anche con pazienza e benevolenza.

La missione per il laico può, quindi, essere anche una piccola scuola di diplomazia dal basso, dove si impara a riconoscere i bisogni e i desideri delle persone e delle comunità, in modo da poter affrontare i conflitti che sempre animano le società umane.

Senza mai giungere all’uso della violenza come ipotesi di soluzione.

In effetti, qualsiasi missionario, qualsiasi laica o laico che stia svolgendo o abbia svolto un servizio in missione, può raccontare di seppur semplici esperienze di diplomazia dal basso:

magari di un intervento di mediazione in qualche villaggio per regolamentare l’uso dell’acqua di un pozzo, oppure di intrattenere un rapporto di trasparente cordialità con qualche autorità istituzionale civile e religiosa, contribuendo informalmente alla costruzione di una loro importante decisione orientata al consolidamento della giustizia e della pace.